Questo aspetto è da imputare all'educazione che l’individuo ha subito. Un’educazione che lo porta a confidare acriticamente nell’autorità sia genitoriale che Istituzionale o cosmica. Diventa abitudine ad adattarsi a quanto incontra come se ciò che incontra non avesse scopi, intenti, divenuto, trasformazioni, ma fosse un’apparizione naturale o un dono di “dio”.
Le sollecitazioni esterne producono i suoi adattamenti meccanicamente, rifiuta il conflitto, e non come scelta attiva operata attraverso le proprie decisioni, l'uso della propria volontà e del proprio Intento. Il suo adattamento non è frutto del proprio Intento, ma è frutto di accettazione di quanto è proposto (pertanto non discriminato) e sul quale il soggetto poggia le sue aspettative e le sue "speranze".
L'individuo vive la sua vita come "dono" e come tale è sempre speranzoso nel dono di chi gli sta attorno. Il "dono" di appartenere a quel posto di lavoro che comporta una sua accettazione delle regole. Egli accetta le regole, le applica, ma non si accorge che chi gli sta attorno a quelle regole ha risposto con adattamenti diversi in modo da far sì che quelle regole, che lui ritiene onerose, non interferiscano eccessivamente con le sue mansioni. Chi ha adattato le regole per il proprio tornaconto personale non tollera che qualcuno gli faccia notare che viola le regole.
Mi è capitato di penzolare a tre metri appeso a cisterne di graniglia di ferro perché la scala su cui ero salito era inadeguata e non dava sicurezza. Quando ho segnalato il problema mi è stato risposto che solo io mi lamentavo. "Si fa così per abitudine, non è che io non voglio applicare la regola, ma così si svolge il lavoro in minor tempo e minor fatica!" Dopo di che il tizio cade dalle impalcature, il finanziere alla dogana fa passare un carico di contrabbando, il poliziotto preferisce lasciar correre il grande imputato mentre è feroce con chi non è in grado di difendersi ecc.
Chi fa davvero il proprio lavoro rispettando le regole o lo fa come persona integerrima in quanto disposta ad attaccare anche chi gli sta attorno che non applica le regole, oppure lo fa come una persona ingenua che facilmente può essere accusata di intenzioni diverse da quelle manifestate.
Vivere per sfida significa che ogni azione che noi facciamo nella vita quotidiana è il frutto delle nostre scelte, della nostra volontà in funzione del nostro intento.
Vivere per sfida non significa arrivare in ufficio e calare il guanto in faccia ai colleghi o rovesciare il cestino della carta in testa al capufficio, significa che ogni azione è frutto di scelte e determinazioni soggettive e quelle scelte vengono imposte con forza e determinazione al mondo che ci circonda. Così i messaggi che riceviamo dal mondo che ci circonda non sono semplici informazioni, ma sono elementi che vanno ponderati e che rientrano nella nostra azione che deve rispondere partendo dal nostro Intento.
Vivere per sfida significa che in ogni decisione che noi prendiamo mettiamo tutto noi stessi. Quella non è solo una decisione, ma è quello che noi siamo riusciti a sviluppare concentrando tutto noi stessi. Quasi che da quell'azione o da quella decisione dipendesse la nostra vita o la nostra morte.
Contro un individuo vive per sfida non si può mettere in atto nessuna azione di mobbing. Magari lo si può sabotare, si può agire per far fallire i suoi sforzi, ci si può organizzare contro di lui, ma nessuna azione di mobbing è possibile nei suoi confronti. Lo si può distruggere fisicamente, ma non lo si può distruggere psicologicamente o emozionalmente.
Diventa un concorrente terribile, specialmente se in quell'azione del vivere per sfida riesce a costruire delle alleanze funzionali per il conseguimento di un intento aziendale. Chi vive per sfida può essere accusato di voler far carriera in quanto la forza che mette per determinare sé stesso è elevata, ma non può essere calunniato a meno che non si voglia essere attaccati direttamente, nome e cognome e per le intenzioni espresse. Chi vive per sfida non rispetta la forma né la formalità con cui i fenomeni. Chi vive per sfida scinde la sostanza che qualifica il fenomeno dalla forma con cui il fenomeno si presenta. Chi vive per sfida fa dipendere le sue scelte e le sue azioni dai suoi Intenti.
Il vivere per sfida entra nella razionalità quando si esprime attraverso la pratica del vivere strategicamente o più in generale della pratica dell'Agguato.
Della pratica dell'agguato in situazioni di mobbing in atto ne parleremo parlando delle tecniche di uscita dal Mobbing.
Scritto a Marghera nel 2003
Detto questo la pratica del mobbing può avere successo sull'individuo quando questi:
1) Si ritiene al centro del mondo
2) Non è in grado di sospendere il giudizio
3) Non sa ascoltare il mondo attorno
4) Non è diventato padrone della propria attenzione
5) Non pratica l'agguato né vive per sfida
Non aver fatto propri questi modi di essere manifestandoli nelle sue azioni nelle relazioni col mondo e nell’attività con cui l’individuo costruisce la propria vita, consente al mondo che lo circonda di mettere in atto, contro di lui pratiche di mobbing al fine di distruggere la sua struttura psico-fisica fino all’annientamento.
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Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell'Anticristo Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
Il mobbing è l'arte costruita dai cristiani per distruggere psicologicamente l'uomo che non si adegua al gregge. Tanto più il sistema giuridico preserva l'uomo nella sua attività sociale e tanto più violente vengono articolate le strategie di aggressione personale per impedire all'individuo di fruire della libertà d'azione che la legge gli garantisce. Il mobbing può essere messo in atto solo nell'ambito cristiano e da cristiani perché per essere mobizzati è necessario essere individui che sperano nell'intervento salvifico del dio padrone.