La creazione nel Rg Veda e la creazione egiziana: i sensi come DEI

Dalla maturita' degli antichi all'infantilismo ebreo e cristiano

di Claudio Simeoni

L'idea di creazione della Religione Pagana

Capitolo terzo

 

Principi fondamentali della Religione Pagana

 

Il veggente sgomento guarda il momento in cui nasce l'universo. La creazione, il venir in essere dell'universo.

Il momento da cui emerge la creazione nel Rg Veda non è un atto del dio, ma è un quesito che si pone nella testa del veggente:

Rg Veda Libro X, 129

"Allora non c'era il non-essere, non c'era
l'essere; non c'era l'atmosfera, né il cielo, (che è)
al di sopra. Che cosa si muoveva? Dove? sotto la
protezione di chi? che cosa era l'acqua (del mare)
inscandagliabile, profonda?
Allora non c'era la morte, né l'immortalità;
non c'era il contrassegno della notte e del giorno.
Senza (produrre) vento respirava per propria forza
quell'Uno [tad ékam: genere neutro]; oltre di lui non
c'era niente altro.
Tenebra ricoperta da tenebra era in principio:
tutto questo (universo) era un ondeggiamento
indistinto. Quel principio vitale che era
serrato dal vuoto, generò se stesso (come l'Uno)
mediante la potenza del proprio calore.
Il desiderio [amore, Eros] sorse
La primitiva cellula germinale della mente.
I Veggenti, indagando nei loro cuori con saggezza,
scoprirono le connessioni dell'Essere nel non-essere.
Trasversale fu tesa la loro corda: vi fu un
sopra, vi fu un sotto? vi erano fecondatori, vi
erano potenze: sotto lo stimolo, sopra l'appagamento.
Chi veramente sa, chi può qui spiegare donde
è originata, donde questa creazione? Gli déi sono
al di qua (posteriori) della creazione di questo
(mondo) ; perciò chi sa donde essa è avvenuta?
donde è avvenuta questa creazione, se l'ha
prodotta o se no, colui, che di questo (mondo) e il
sorvegliatore [il divino in forma personale, n.d.r.] nel cielo supremo.
egli certo lo sa se pur non lo sa".

Non vengono date risposte, solo vengono formulati quesiti in relazione alle aspettative di chi guarda.

Chi guarda non dice: "Questo è quello che vedo!"

Guardando il vuoto si interroga. Interroga sé stesso e con sé stesso, che proietta nel vuoto, riempie i suoi stessi interrogativi.

La situazione è molto particolare. Il veggente, in questo caso, cerca conferme del suo modo culturale di pensare il mondo e la vita. Ci si trova nella stessa situazione in cui si trovavano gli archeologi che cercavano conferme sul fatto che i fenici praticavano il sacrificio umano dei bambini.

Si chiedevano:

Dove stanno le ossa? Le ossa sono state bruciate mentre il bambino era vivo o il bambino è stato bruciato da morto? Qual era l'idea dei Fenici per sacrificare i loro bambini? E così via.

Mancava la domanda ovvia: le domande che io mi pongo devono avere necessariamente delle risposte nelle antiche culture o mi pongo delle domande che nulla avevano a che vedere con le tradizioni dei fenici? Cerco le prove di un'illusione, in quanto non mi accontento di capire quello che trovo, e getto via quello che trovo perché non coincide con la mia illusione.

Quando il veggente dice:

Tenebra ricoperta da tenebra era in principio:
tutto questo (universo) era un ondeggiamento
indistinto.

Che cosa intende per "questo"? Questo, inteso come quello a cui lui sta assistendo o questo inteso come lo immagina chi ascolta e che guarda un cielo stellato?

E ancora, e vale per questa traduzione:

Quel principio vitale che era
serrato dal vuoto, generò se stesso (come l'Uno)
mediante la potenza del proprio calore.

Chi ha aggiunto quel "come l'Uno" fra parentesi? Gli egiziani avrebbero parlato di Nun; i greci di Gaia.

Se io penso all'Uno, come descritto dai neoplatonici, lo intendo con intelligenza, volontà, determinazione, sommo bene. Lo intendo come forza creatrice del presente; fonte dalla quale il presente si genera per tornare all'Uno.

Ma se io tolgo ciò che sta tra parentesi, ho un altro significato:

Quel principio vitale che era
serrato dal vuoto, generò se stesso
mediante la potenza del proprio calore.

Ciò che era serrato nel vuoto genera sé stesso mediante il calore.

Solo che ciò che è serrato non ha intelligenza, volontà, scopo, nous, ma abbiamo un apparire mediante il calore di ciò che era serrato.

Se il veggente vede il dispiegarsi di qualche cosa che per lui diventa ovvio, ma che deve essere interpretato dall'ascoltatore che, però, lo interpreta con una cultura diversa da quella nella quale il veggente viveva. Non c'è un generatore; e non c'è la qualità di ciò che viene generato. Solo il calore, il venir in essere e la consapevolezza che quanto si dispiega è portatore di vita.

Lo stesso vale per il passo:

Il desiderio nel principio sopravvenne
a lui, il che fu il primo seme (manifestazione)
della mente.

Desiderio e seme di ciò che pensa sono il fondamento del venir in essere dell'universo. Ma come ciò si interpreta, il veggente non lo sa. Lascia il compito ai saggi:

I Veggenti, indagando nei loro cuori con saggezza,
scoprirono le connessioni dell'Essere nel non-essere.

Una saggezza che manca di sé stessa in quanto non si limita ad assistere, ma proietta su quanto assiste un'interpretazione che non viene supportata da ciò a cui si assiste. E' il veggente che assiste ed è il saggio che interpreta il racconto del veggente.

Restano le domande del veggente. Sospese nello stesso vuoto e nello stesso oscuro in cui si libra. Le connessioni fra "l'Essere nel non-essere" sono immaginate, non esplicitate. Cosa diversa nelle creazioni egiziane in cui la coscienza viene tratta dal mare dell'incoscienza, il Nun.

Questa sospensione che viene lasciata all'indagine nel cuore del veggente è dovuta allo stridere fra quanto il veggente assiste e quanto la cultura spinge il veggente ad interpretare. Anche se il veggente vede la coscienza emergere dall'inconsapevole non coglie la relazione perché la cultura nella quale è divenuto gli impedisce l'interpretazione. Oscillando fra ciò a cui assiste e ciò a cui avrebbe voluto assistere, il veggente lascia in sospeso la sua visione:

Trasversale fu tesa la loro corda: vi fu un
sopra, vi fu un sotto? vi erano fecondatori, vi
erano potenze: sotto lo stimolo, sopra l'appagamento.
Chi veramente sa, chi può qui spiegare donde
è originata, donde questa creazione? Gli déi sono
al di qua (posteriori) della creazione di questo
(mondo) ; perciò chi sa donde essa è avvenuta?
donde è avvenuta questa creazione, se l'ha
prodotta o se no, colui, che di questo (mondo) e il
sorvegliatore [il divino in forma personale, n.d.r.] nel cielo supremo.
egli certo lo sa se pur non lo sa".

Sempre nel Rg Veda, nel capitolo X 190 si trova un altro aspetto del venir in essere dell'universo:

Tapas (creazione)

Rg Veda X 190

Dall'ardore fiammeggiante venne l'Ordine Cosmico
E la Verità: di là fu generata l'oscura notte;
di là l'Oceano con le sue onde fluttuanti.
Dall'oceano con le sue onde fu generato l'anno
Il quale dispone la successione delle notti e dei giorni
Controllando tutto ciò che batte le palpebre.
Poi, come prima, modellò il Creatore
Il Sole e la Luna, il Cielo e la Terra,
l'Atmosfera e il dominio della luce.

Qui si parla di "ardore fiammeggiante" da cui emerge l'ordine cosmico.

Siamo in una situazione successiva a quella a cui assiste il veggente nel libro X 129

Mentre nella situazione precedente il veggente si faceva delle domande nate dalla sua cultura con cui interrogava la sua visione, ora l'universo sta nascendo. Il veggente ne prende atto e dall'"ardore fiammeggiante" vede prendere forma "l'ordine cosmico", l'universo come lui (e noi) conosce in cui si dispiega quella verità che appare ai nostri occhi. La verità dell'universo si dispiega con un ardore dalla nera notte e si dilata come un oceano fluttuante dal quale nasce il Tempo. Con diverse parole altro non è che la nascita di Crono da Gaia ed Urano stellato. Il mutamento, il batter le palpebre, altro non è che il divenire e la trasformazione del presente in cui si dispiega verità dopo verità.

Ed è in questo momento che il veggente assiste alla nascita dei pianeti, dell'atmosfera e delle condizioni che portano alla nascita dell'Essere Natura. E' in questo momento che il veggente e i saggi che lo interpretano impongono loro stessi.

Proviamo a riflettere su questo frammento di Aitareya Upanishad tradotto da Sri Aurobindo in cui si descrive la creazione di Brahama o dell'Atman come spirito universale. Nell'Aitareya Upanishad c'è l'azione avvolta dalla parole e definita come il pensiero. Brahama pensa di farsi un mondo perché non vede nulla. C'è in questa Upanishad, rispetto ai pezzi trattati precedentemente, un cambio di prospettiva. E' il "creatore" che racconta al veggente spettatore, quasi fosse il veggente spettatore che come il Brahama si identifica nell'atto del creare. Mentre Ptah trae l'esistente dal Nun in quanto Ptah è soggetto diverso dal Nun, Brahama sembra essere il Nun che pensa e che si fa dei mondi da sé stesso in quanto nulla esiste se non sé stesso. Il sé stesso si separa da sé? O continua ad essere Brahama? In Esiodo ciò che emerge è Gaia. Non esiste un oggetto consapevole che non sia Gaia. Gaia non ha consapevolezza. La consapevolezza è data da Urano Stellato, l'emozione, che scuote il presente inconsapevole di Gaia. Nell'Aitareya Upanishad Brahama è consapevole di "trarre sa sé stesso".

Dice Atum:

"Sono io che mi manifesto come Khepri: quando mi sono manifestato, i manifestanti si sono manifestati e si è manifestato ogni manifestante dopo la mia manifestazione. Sono numerose le manifestazioni che sono uscite dalla mia bocca.
Fino allora, non era esistito il cielo, non era esistita la terra, non erano ancora stati creati qui i vermi e i serpenti.
Io mi levai tra loro nel Nun in stato di inerzia, e non trovai un posto dove stare dritto. Fui intelligente nel mio cuore, feci progetti di previsione. Creai ogni esistenza essendo solo, quando ancora non avevo espettorato come Sciu, quando ancora non avevo sputato come Tefnut, quando ancora non era venuto al mondo un altro che potesse agire con me."

Ed esprime in questo un atto di volontà. La manifestazione di Atum è il venir in essere della sua coscienza in un universo inconsapevole mentre in Aitareya tutto l'universo è consapevole:

Hari OM. All'inizio lo Spirito era Uno e tutto questo (universo) era lo Spirito;
non c'era nient'altro che vedesse. Lo Spirito pensò, "Ecco, mi farò dei mondi da me stesso".
Questi erano i mondi che egli fece:
ambhah, il mondo delle acque eteree, marichich, (il mondo) della luce, mara, (il mondo) della morte e delle cose mortali, apah, (il mondo) delle acque più basse.
Al di là del firmamento che splende sono le acque eteree e il firmamento è la loro base e il luogo di
riposo: lo Spazio è il mondo della luce; la terra è il mondo mortale;
e al di sotto della terra ci sono le acque più basse.

Anche se le due "creazioni" formalmente sono molto simili ciò che ne segue, gli Esseri che vengono in essere, costruiscono delle relazioni oggetivamente e soggettivamente diverse a seconda del modello di creazione che prendiamo come punto di riferimento. Mentre in Aitareya tutto è Brahma, nella creazione d Atum tutto è sé stesso. In Aitareya la sostanza è Brahma che pensa (e dunque consapevole del suo pensare), in Atum ciò che viene in essere si manifesta dal Nun, l'indistinto inconsapevole. Come il Nun ha prodotto Atum così produce soggetti che si manifestano diversi da Atum. Nello stesso tempo, l'azione di Atum permette la manifestazione di altri soggetti mediante l'azione e l'intelligenza di Atum. Solo che sono altri soggetti, diversi da Atum, mentre nell'Aitareya, come tradotto da Aurobindo, tutto ciò che esiste è Brahma.

Però, nella formazione della "creazione" dell'Aitareya noi possiamo assumere un altro punto di vista e considerare il pensiero con cui Brahma "crea" una proiezione del veggente che motiva il venir in essere del mondo e della vita. Possiamo scindere il venir in essere del mondo a cui il veggente assiste (e che il veggente ordina scegliendo gli aspetti del venir in essere del mondo in base alla propria cultura e alla propria concezione del mondo e della vita) dalle motivazioni che il veggente attribuisce al venir in essere del mondo. In altre parole, le motivazioni appartengono al veggente, mentre il venir in essere dell'universo è un fenomeno esterno, vissuto dal veggente anche se, comunque, il veggente, come tutti i veggenti, lo interpreta.

Partendo da questo punto di vista, noi non assistiamo più ad una "coscienza", al Brahma, all'Atman, consapevole, ma assistiamo alla possibilità di consapevolezza. Non abbiamo più di fronte a noi il Brahma, ma abbiamo il Nun. Proviamo a riformulare l'inizio dell'Aitareya Upanishad togliendo la coscienza e la consapevolezza del Brahma:

All'inizio lo spirito era tutto in questo universo
Non c'era nient'altro oltre lo spirito.
Dallo spirito emersero i mondi:
ambhah, il mondo delle acque eteree, marichich, (il mondo) della luce, mara, (il mondo) della morte e delle cose mortali, apah, (il mondo) delle acque più basse.
Al di là del firmamento che splende sono le acque eteree e il firmamento è la loro base e il luogo di
riposo: lo Spazio è il mondo della luce; la terra è il mondo mortale;
e al di sotto della terra ci sono le acque più basse.

Se leggiamo questo modo siamo simili all'invocazione per la morte del Faraone nell'Inno di Eliopoli:

Salute a voi, o Acque (provenienti dal Nun),
portate da Sciu e sgorgate dalle due sorgenti,
in cui Gheb ha purificato le sue membra,
e i cuori furono nel terrore.
(Il faraone defunto) è stato messo al mondo nel Nun,
quando il cielo ancora non era,
quando la terra ancora non era,
quando niente esisteva che fosse stabilito,
quando neppure esisteva il disordine,
quando non esisteva ancora questo terrore che doveva
nascere per l'occhio di Horo.

L'interpretazione è la costante che spinge il veggente ad interpretare la sua visione. O, meglio ancora, ciò che il veggente vede ed interpreta viene a sua volta interpretato da terze persone che interpretano l'interpretazione: passa di bocca in bocca, di cultura in cultura, disperdendosi nei rivoli delle possibilità umane. Ciò che sicuramente manca è la volontà "creatrice" all'inizio dell'universo e del tempo. Ciò che non è viene in essere, ma nessuno determina il suo veni in essere che, per questo, mantiene il proprio carattere divino capace di determinare e condizionare altri venir in essere. In questo Inno di Eliopoli dedicato al faraone, si dice che il Faraone stesso è tratto dal Nun. Non è secondo a nessuno. Né ha un qualche padrone. Se avesse detto è tratto da Gaia per forza di Urano Stellato, avrebbe detto la stessa cosa. Se il faraone fosse stato fatto dallo spirito, dal Brahama, avrebbe reso omaggio allo spirito, ringraziandolo, e non si sarebbe elevato come un EROE esso stesso uguale agli Dèi. Non si sarebbe pensato "uguale a Brahma", al massimo un Deva. Il faraone, nell'Inno di Eliopoli, si proclama uguale agli Dèi come fanno gli Orfici all'atto della morte del corpo fisico:

"Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte, e accanto ad essa eretto un bianco cipresso: A questa fonte non avvicinarti neppure. Ma ne troverai un'altra, la fredda acqua che scorre Dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi i custodi. Dì': "Son figlia della Terra e del Cielo Stellato. Urania è la mia stirpe, e ciò sapete anche voi. Di sete son arsa e vengo meno: ma datemi presto La fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne". Ed essi ti daranno da bere dalla fonte divina; e dopo di allora con gli altri eroi sarai sovrana."

Laminetta d'oro di Petelia

Le stesse analogie che il veggente coglie nella volontà di Brahma possono essere tradotte in maniera diversa.

Dice la traduzione di Aurobindo:

3. Lo Spirito pensò: "Ecco, questi sono i mondi, e adesso io mi farò dei guardiani per i miei mondi".
Quindi trasse il Purusha dalle acque e Gli diede forma e sostanza.
4. In verità, Lo Spirito lo covò e da Lui così covato si aprì la bocca, come quando un uovo è incrinato e
si apre; dalla bocca venne fuori la parola e dalla parola nacque il fuoco.
Si aprirono le narici e dalle narici nacque il respiro e l'aria per respirare. Gli occhi si aprirono e dagli
occhi la Vista e dalla Vista nacque il Sole. Si aprirono le orecchie e dalle orecchie l'Udito e dall'Udito
sorsero i luoghi. Si formò la pelle e dalla Pelle i capelli e dai capelli nacquero le erbe medicinali e tutte
le piante e gli alberi. Si formò il cuore e dal cuore la Mente e dalla Mente nacque la luna.
Si formò l'ombelico e dall'ombelico l'apana (il soffio vitale) e dall'apana
nacque la Morte.
Si formò l'organo di piacere e dall'organo il seme e dal seme nacquero le acque.

Che diventa:

Quindi il Purusha emerse dalle acque prendendo forma e sostanza.
Covato emerse dallo spirito, aprì la bocca ed emerse il fuoco.
Si aprirono le narici e dalle narici nacque il respiro e l'aria per respirare. Gli occhi si aprirono e dagli
occhi la Vista e dalla Vista nacque il Sole. Si aprirono le orecchie e dalle orecchie l'Udito e dall'Udito
sorsero i luoghi. Si formò la pelle e dalla Pelle i capelli e dai capelli nacquero le erbe medicinali e tutte
le piante e gli alberi. Si formò il cuore e dal cuore la Mente e dalla Mente nacque la luna.
Si formò l'ombelico e dall'ombelico l'apana (il soffio vitale) e dall'apana
nacque la Morte.
Si formò l'organo di piacere e dall'organo il seme e dal seme nacquero le acque.

Quelle acque non sono diverse dal Nun egiziano.

 

 

Quando il veggente trasforma il fuoco emotivo in parola, allora non viene messo l'accento sulla coscienza degli oggetti che vengono in essere né sul loro agire, ma sulla loro forma. Ogni forma rappresenta un simbolo emotivo e soggettivo del veggente entro il quale racchiudere i segni che vuole trasmettere. Dal Purusha ha origine la ragione mediante i sensi che individuano la forma degli oggetti del mondo e i sensi del Purusha formano gli oggetti del mondo che alimentano i sensi. Il respiro nasce dalle narici; non sono le narici per il respiro. Gli occhi non sono organi di percezione del vedere (qualunque sia la qualità del vedere), ma dagli occhi nasce la luce, il Sole. Il Sole non è prima che gli esseri Umani vedessero il mondo con gli occhi emotivi, ma gli occhi fisici determinano la forma del mondo. E' la struttura fisica il modello dell'oggettività che viene in essere emanata dalla forma fisica. La forma fisica del veggente presa a modello dell'universo che diviene in quanto "utile" al modello stesso. Il Sole non sarebbe se non si fossero aperti gli occhi. Avrebbe senso avere gli occhi se la luce non fosse e la percezione delle forme non avesse contorni? Oggi sappiamo che la struttura cerebrale dedita all'empatia è stata sottoposta alla struttura che percepisce mediante il tatto e la struttura che percepisce mediante il tatto è stata sovrapposta dalla struttura che percepisce mediante la vista. Quando manca la vista, il tatto trasmette la forma dell'oggetto, oggetto che può essere individuato anche senza il tatto, ma questo è un altro discorso in quanto appartiene ad un tempo in cui si nuotava nel brodo primordiale, quell'eterno Nun che ci circonda e dal quale continuamente emergiamo in una continua trasformazione del presente percepito e percepibile.

Ritengo interessante introdurre, a questo punto del discorso, alcune osservazioni di divulgazione scientifica su un'attualità dei sensi che ci può permettere di comprendere la formazione delle idee all'interno dell'Aitareya Upanishad.

EVOLUZIONI
Il futuro dei sensi
Di Sabina Minardi
Stili di vita e tecnologie minacciano ogni giorno i cinque sensi. Omologano il gusto. Fiaccano
la vista. Assopiscono l'olfatto. Segnali di involuzione? No. Perché la rivincita è già in corso. Grazie alla scienza
Espresso 11 febbraio 2010

Profumi sempre più intensi. Volumi sempre più alti. Sapori da mondi lontani. E mani per eseguire, più che per accarezzare. Occhi per aumentare la realtà, anziché per guardarla dritta in faccia.

Si assopiscono, si dilatano, si trasformano i cinque sensi, minacciati da stili di vita aggressivi e incalzati da possibilità tecnologiche inimmaginabili: protesi elettroniche potenziano la vista e l'udito; odori riprodotti in laboratorio fanno a meno della natura; gusti e consistenze insolite si offrono al palato, sovrascrivendo i sapori della memoria; tecnologie touch screen e comunicazione via sms esercitano il tatto su superfici nuove. Ma come cambia il modo di percepire il mondo e di interagire con esso, se i nostri radar si trasformano? Cosa perdiamo - o guadagniamo - se i nostri sensori stringono un patto con la scienza? Se udito, vista, tatto, olfatto e gusto non sono più quelli di prima? "Ci trasformiamo definitivamente in esseri culturali e ci allontaniamo dalla natura", nota l'antropologo Marino Niola: "Diventiamo potentissimi sul piano delle estensioni scientifiche, sempre meno su quello dell'istinto. I nostri progenitori erano vulcani di sensi. Noi li abbiamo debolissimi. Ma compensiamo questa fragilità attraverso la tecnologia".

L'olfatto, il più misterioso dei sensi, la regia di tutte le cose. Serviva alla sopravvivenza, in origine: per trovare il cibo, per sfuggire ai predatori. Oggi, esposto a odori artificiali, messo alla prova dall'inquinamento, è tra i sensi più sofferenti: "Ricerchiamo odori violenti e ci sforziamo di cancellare i nostri. Eliminare le tracce della corporeità è una vera ossessione", prosegue Niola: "Celebriamo il tatto continuamente, ma non lo esercitiamo più: chi è in grado di riconoscere un tessuto solo toccandolo? E la vista: vediamo sempre attraverso un altro mezzo. C'è un'interposizione costante tra noi e le cose: una lente, uno schermo, una prospettiva. Il gusto? Lo abbiamo perso, tant'è che torniamo a scuola: e ci iscriviamo a corsi sul vino o sull'olio per predisporci a riconoscere profumi dimenticati. Per non parlare dell'udito: con un soundtrack in città così assordante, abbiamo bisogno di volumi altissimi. Siamo circondati da orecchi elettronici, eppure ci scopriamo un'umanità di non udenti".

Condannati a una lenta atrofia dei sensi? Spettatori di un'involuzione inevitabile per la specie? La realtà non è così drammatica. Se rumori di fondo, odori nocivi, eccesso di luce alterano i nostri recettori, la buona notizia è che nessuno sottovaluta il fenomeno. Dagli esperti di marketing, consapevoli che una stimolazione sensoriale è strada sicura perché un prodotto piaccia, agli specialisti di robotica, impegnati a riprodurre la macchina-uomo, cresce una generazione di esperti che sui sensi, sui loro punti deboli e sul loro nuovo potere, è già al lavoro: ingegneri elettronici e medici, specialisti del corpo e inventori di sogni. Come i ricercatori che sviluppano sistemi per la percezione di odori dal pc: game-designer lungimiranti, convinti che in futuro non ci sarà videogioco senza fragranze incluse. Perché il realismo sia maggiore. E perché è impossibile parlare a un senso, escludendo gli altri: "Il gusto, per esempio, non prescinde mai dalla vista, dall'olfatto, persino dall'udito", spiega Davide Cassi, docente di Fisica della materia all'Università di Parma: "E tutti i sensi agiscono in sinergia con l'ambiente: cambia un colore se cambia la luce; la sensazione di un sapore è diversa a seconda del materiale delle posate o dei contenitori utilizzati".

Il gusto. Siamo esposti ai cibi più inconsueti. Abbiamo arricchito il dolce e il salato, l'acido e l'amaro, di un quinto gusto: l'umami, alla lettera 'saporito', in realtà indica il sapore del glutammato. Abbiamo scomposto consistenze, introdotto forme nuove. Eppure, oggi ci stupiamo se un sapore somiglia a quello originario: effetto di un appiattimento culinario che ha prima addomesticato, poi resettato la memoria. "Il gusto è intimamente connesso con le radici e con l'esperienza", spiega Cassi: "Abbiamo tutti dei riferimenti familiari con i quali confrontiamo i sapori. La stessa cucina molecolare, che è stata una tappa importante della cucina moderna, dimostra che ogni popolo ha le sue preferenze in fatto di consistenze: quelle gelatinose, per esempio, sono molto amate da spagnoli e orientali. Noi ricerchiamo più spesso il croccante. Oggi prevalgono gusto internazionale da fast food e sapori standardizzati dei supermercati. Gli adulti di domani si confronteranno con questi sapori". Il gusto fiaccato da una deriva omologante? "Non è un cambiamento irreversibile", spiega Cassi: "Al gusto e alla diversità ci si educa". Serve allenamento: mettiamo qualcosa in bocca e guardiamo, annusiamo, tocchiamo, ascoltiamo. "Vale anche per l'olfatto: non a caso chi vuol fare il sommelier o il 'naso' in profumeria deve rieducare la memoria olfattiva. Recuperare un vocabolario". Parole per dire, andate perdute.

L'olfatto. "Siamo esseri flessibili e capaci di adattarci alla realtà senza vere evoluzioni genetiche", concorda l'esperto di robotica Gianmarco Veruggio, dell'Istituto di Elettronica e di Ingegneria dell'Informazione e delle Telecomunicazioni di Genova: "Viviamo un intensificarsi di stimolazioni. Ma siamo ancora organismi con lo stesso patrimonio sensoriale delle scimmie. A fare la differenza sono gli strumenti per comprendere l'universo e per cambiarlo a nostro vantaggio. Tutta la ricerca è un tentativo di espandere i nostri sensi". Anche l'olfatto, sempre più disorientato? Chi fa esperienze di buio ('Il gusto del buio' è una rassegna enogastronomica, multisensorialità davanti a un piatto, vista esclusa: ilgustodelbuio.com), racconta la fatica di affidarsi agli altri sensi, olfatto in primis. Solo dopo un po', 'sentire' di più è una scoperta emozionante. Lo stupore di captare informazioni inimmaginate. "Il fumo, lo smog, la chimica alterano l'olfatto, certo. Però in laboratorio si ricostruiscono molecole che altrimenti non riusciremmo a sentire. Non abbiamo più l'olfatto dei nostri antenati, ma siamo più attenti a cogliere le sfumature delle cose", dice Veruggio: "Guardiamo agli aspetti positivi. La velocità con cui mandiamo sms, l'uso del telecomando e della tastiera tengono allenato il tatto fine. L'aspetto più rivoluzionario, in assoluto, è la possibilità di intervenire oggi sui sensi mediante protesi: non solo sostitutive di capacità sensoriali danneggiate, ma migliorative. Si usano sensori visivi collegati alla corteccia cerebrale per consentire di vedere a chi non ha più la vista: grazie a una telecamera, al posto degli occhi. Sensori visivi collegati invece al sistema nervoso consentono di esplorare fantasie e sogni. In questo modo avremo occhi più potenti di quelli umani: capaci di vedere di notte o da distanze maggiori. La stessa cosa si può fare con l'orecchio".

L'udito. "Oggi si può ridare l'udito a bambini che non riuscivano a sentire. Si possono sfruttare le sinergie tra tecnologie e capacità di adattamento del cervello per sviluppare nuove forme di interazione", nota il bioingegnere Giulio Sandini, capo del Dipartimento Robotics, Brain and Cognitive Sciences dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova: "Medicina e tecnologia stanno riflettendo moltissimo sui nostri sensi. Le realtà virtuali studiano come funzionano i sensi per cercare di 'imbrogliarli'. Non credo che i nostri sensi corrano il rischio di atrofizzarsi. Anzi, si può realisticamente ipotizzare che proveremo sensazioni mai avute prima: come la simulazione di una camminata sulla luna". Questione di tempo: la rivincita dei sensi è, per l'esperto, assicurata. Anche se non scevra da implicazioni legali e morali: confini da tracciare su questioni come proprietà e disponibilità del corpo, privacy, sicurezza, dipendenza dalla tecnologia. Se ne occupa la roboetica: decisiva in uno scenario dove 'brain computer interface', interfacce cervello-computer che permettono solo col pensiero (cioè con stimoli nervosi), di muovere protesi collegate su di noi, è sempre più vicino.

Il tatto. "Nella virtualizzazione c'è ancora molto da capire: la nostra vita sempre di più si svolge in Rete e davanti a una tastiera. Usiamo molto la vista e meno il tatto, e non in funzione esplorativa ma solo esecutiva", interviene Antonio Bicchi, direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca E. Piaggio di Pisa: "Sul recupero dell'effetto tattile sono in corso enormi investimenti. Perché è il senso che viene prima degli altri e va più nel profondo, è quello da cui passano le emozioni, è connesso con la vita di relazione. Ci sono molti esperimenti di illusioni tattili: per esempio schermi dove il vetro del display dà al dito la sensazione di una forma. Si chiamano 'interfacce aptiche': la sfida è riprodurre sensazioni tattili, attraverso una 'televisione' per le mani, una scatola nera dove immergere gli oggetti o sentire sfere rotolare. C'è da scommettere che i tablet di prossima generazione saranno multitouch: sensibili in vari punti".

Terminali di conoscenza. Parti del modo di apprendere. L'ha spiegato il rettore della Georgetown University sull'ultimo numero di 'The Edge' dedicato a Internet: "Il mio rapporto con le informazioni è molto più tattile che in passato", ha scritto: "Le mie dita sono parte del mio cervello. Per trovare le informazioni devo manipolarle con le dita. Se allungo la mano verso il mouse vuol dire che sto pensando".

La vista. La genetica non sarà in evoluzione, ma le nuove abitudini lasciano il segno: come le ore davanti a un pc. Mai così tante le persone con difficoltà visive, annuncia l'Associazione Usa degli oftalmologi: siamo la Generation Myopia, in 30 anni due terzi di più. Ma non è una disfatta.

"La vista è il senso più impiegato, ma anche quello nel quale sono stati fatti i progressi più grandi", rassicura Paolo Vinciguerra, responsabile Oculistica dell'Istituto clinico Humanitas: "Non altrettanto è stato raggiunto in termini di educazione visiva: qui in Istituto stiamo lavorando per insegnare a controllare e usare il potenziale residuo visivo". Una riserva per vedere meglio? "Sì, nei nostri occhi c'è un potenziale inesplorato, che può essere educato", conferma il professore: "Tecnicamente, si utilizza un laser che, proiettato sulla retina, la analizza, ne calcola l'attività, la trasforma in segnali sonori, scovando un patrimonio che non si sapeva neppure di avere. Quanto all'affaticamento visivo, è il risultato di schermi con una risoluzione più bassa di quella che l'occhio può mettere a fuoco. Oggi che la tecnologia, il contrasto, l'illuminazione, sono migliorati, i danni potenziali sono pressoché eliminati. Sono le cattive abitudini le minacce vere: il fumo, l'uso smodato di alcolici. Oggi si può riportare a perfetta efficienza la vista di un centenario, si può intervenire meglio e sempre prima. I nostri occhi sono sottoposti a nuovi sforzi? Certo. Ma grazie alla scienza non c'è altro organo, in tutto il corpo, che mantenga la stessa funzionalità per tutta la vita".

Fine articolo de l'Espresso dell'11 febbraio 2010

E questo per riprendere il discorso sull'Aitareya Upanishad e su ciò che tale upanishad pensa della natura degli Dèi. Quando si considerano gli Dèi come i sensi attraverso cui percepire il mondo e non si considera che la realtà del mondo va oltre la realtà percepita e considerata dalla forma e dalla quantità, allora, nella formazione delle idee sul mondo, si tende a piegare la realtà del mondo alla realtà percepita e si tende a contrarre la percezione del mondo per semplificare la realtà pensata del mondo. Finché il mondo finisce per essere solo ciò che si vuole che sia e non si è aperti a ciò che il mondo potrebbe essere. I sensi, nel mondo di oggi, sono funzionali al mondo di oggi e ogni alterazione della percezione parte dalla cultura alla quale i sensi si sono adattati a mano a mano che il bambino cresceva e si faceva uomo, donna, persona. Così continua l'Upanishad Aitareya:

Capitolo primo. Sezione seconda.

1. Questi erano gli Dei che Egli creò; essi caddero nel suo grande Oceano, e la Fame e la Sete li assalirono.
Allora essi gli dissero: "Ordina per noi una dimora nella quale possiamo vivere sicuri e mangiare il cibo".
2. Egli portò loro la vacca, ma essi dissero: "In verità non è abbastanza per noi". Egli portò loro il
cavallo, ma essi dissero: "In verità non è abbastanza per noi":
3. Egli portò loro l'uomo ed essi dissero: "Ben fatto davvero! L'Uomo in verità è bello e ben fatto".
Allora lo Spirito disse loro: "Entrate ognuno nella sua dimora".
4. Il Fuoco divenne Parola ed entrò nella bocca; l'Aria divenne Respiro ed entrò nelle narici; il Sole
divenne Vista ed entrò negli occhi; i Punti cardinali divennero Udito ed entrarono nelle orecchie; le
erbe medicamentose e le piante e gli alberi diventarono Peli ed entrarono nella pelle; la Luna divenne
mente ed entrò nel cuore; la Morte divenne apana, il respiro più basso, ed entrò nell'ombelico; le
Acque divennero seme ed entrarono nell'organo.
5. La Fame e la Sete chiesero allo Spirito: "Dai anche a noi una dimora". Ma Egli disse loro: "Tra
queste divinità io vi divido; ecco! e faccio sì che voi abbiate parte nella loro divinità".
Per cui a qualunque dio venga fatta l'offerta, la Fame e la Sete hanno la loro parte nell'offerta.

L'uomo diventa l'oggetto del discutere: le analogie oggettive diventano le spiegazioni della soggettività. A fondamento della vita viene posta la fame e la sete: il desiderio. E' il desiderio che spinge i soggetti a modificarsi. Il desiderio nasce continuamente dopo che il desiderio è stato soddisfatto. Non esiste una verità che appaghi il desiderio, ma esiste il desiderio che spinge gli Esseri lungo un cammino formato dai tentativi di soddisfare al meglio i propri desideri. Illusione dopo illusione; verità dopo verità; il desiderio modifica l'uomo nel corso della sua vita.

Dal Purusha, tratto dallo spirito dell'universo che diventa il modello, il Brahma, l'Atman (qualche volta il Siva e il Visnu) da cui emergono gli Dèi al Purusha formato dagli Dèi che vogliono il modello uomo disprezzando gli altri modelli di Esseri della Natura.

Tutto diventa in funzione dell'uomo; tutto diventa in funzione del veggente; tutto diventa proiezione del veggente sulla sua stessa visione. Da qui gli Dèi dell'Aitareya Upanishad che animano l'uomo pur presenti nel mondo e pronti ad animare ogni uomo e ogni Essere.

Fine terza parte: La creazione nei Veda e la creazione egiziana: i sensi come Dèi;

Il discorso sulla creazione comprende sei capitoli:

1) La creazione ebrea e cristiana e i suoi effetti nella vita dell'uomo;

2) Il significato delle creazioni Sumere ed Egiziane. Dalla maturità degli antichi all'infantilismo ebreo e cristiano;

3) La creazione nei Veda e la creazione egiziana: i sensi come Dèi;

4) La creazione nell'Inno al Purusa alle cosmogonie greche e la creazione del Libro dell'Anticristo;

5) La creazione nel Libro dell'Anticristo, come continuità alle creazioni Sumera ed Egiziana;

6) La creazione nel Libro dell'Anticristo e la creazione nei Veda: dalla creazione alla morte;

 

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L'idea di creazione, dalle Antiche Religioni all'idea della Religione Pagana manifestata dalla Federazione Pagana

Attualità dell'idea di creazione nell'attuale Religione Pagana.

Le idee degli antichi e l'inganno di Platone e dei cristiani.

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Marghera, 18 novembre 2013

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell’Anticristo

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

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L'idea della creazione nella Religione Pagana

L'idea del venir in essere del mondo è un'idea antichissima. Platone, gli ebrei e i cristiani hanno trasformato il modo di pensare l'inizio del mondo e della vita come un'idea di legittimazione del loro potere e della loro necessità di dominare il mondo. A noi, come Federazione Pagana, interessa riportare l'idea al significato religioso originale commentando le trasformazioni che questa idea ha avuto nel corso del tempo.