9) IL GIA’ VISTO: Déjà vu
Di Claudio Simeoni
EMPATIA E CAPACITA’ EXTRASENSORIALI!
Cod. ISBN 9788891185822
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Percezione
Sulla formazione della
percezione
e la selezione
dei fenomeni percepiti
La scienza
ci dice: c’è qualcos’altro nell’individuo.
Troppo
spesso si è assistito ad individui che manifestavano un Déjà vu cioè quella sensazione di essere già stati in quel luogo o
di aver già vissuto quella situazione. E’ accaduto tanto spesso che la scienza ha dovuto prendere atto che esiste un “mistero” a cui non
riesce a dare delle risposte.
Anche questa è una capacità extrasensoriale fondamentale per la nostra
esistenza. Non si tratta di vivere un momento già
vissuto, ma di vivere un momento la cui situazione è stata percepita (e magari
visualizzata) in anticipo: questa, e tutte quelle che avrebbero potuto essere e
non sono state, che noi cancelliamo perché abbiamo scelto?
Vi ricordate quando, parlando della corteccia cingolata, si è
detto:
“Ma
ora abbiamo scoperto che la corteccia cingolata può imparare a riconoscere quando si commette un errore anche prima che
venga presa una decisione.”
Cosa
significa quel “anche prima che venga presa una
decisione?”. Come abbiamo coinvolto le nostre emozioni
per rivivere un momento in cui veniva riconosciuto che le scelte che avremmo
fatto sarebbero state sbagliate, parziali o altro?
La
scienza, per verificare i processi attraverso i quali il déjà vu si esprime,
deve riuscire a trovare degli individui che hanno sistematicamente queste
sensazioni. Quasi sempre si presentano individui in
cui queste sensazioni si sono presentate ripetutamente, ma non in maniera
sufficiente per studiarne i percorsi neuronali.
E qui iniziamo ad entrare nelle difficoltà della scienza. Chi manifesta
tali sensazioni, con una sistematicità tale da poterle
usare, in realtà, non le percepisce a livello conscio. Queste sensazioni
fluiscono nelle sue decisioni e nelle sue azioni.
Pertanto non vive la sensazioni di “aver già vissuto
quella situazione”, ma quella di aver agito in quanto percepito più possibilità
di situazioni. Non c’è più lo stupore soggettivo dell’eccezionalità. Diventano
sensazioni di uso quotidiano di cui l’individuo si
serve scaricando la propria energia emotiva prima di trovarsi nella situazione
che lo emoziona scoprendo di aver già vissuto quella situazione. Agire prima,
significa non mettere davanti alle proprie emozioni un argine sul quale le emozioni infrangono e bloccano su quella situazione
l’attenzione dell’individuo facendogli sorgere il déjà vu.
Il
déjà vu è una sensazione che, bloccando attraverso l’attenzione i flussi
emotivi dell’individuo, gli crea un sussulto fra ciò che è e ciò che avrebbe
potuto essere. L’individuo ricorda il proprio stato emotivo già analizzato e vissuto.
Per
ora la scienza sta facendo alcune ipotesi di lavoro
sul Déjà vu:
Articolo di Elena Dusi
“Déjà vu, quel mistero della mente
Uno psicologo di Leeds studia il cervello di chi ne viene colpito in modo cronico. Un problema che da secoli arrovella religione e medicina
Ora la scienza vuole capire perché “conosciamo” luoghi mai visti
Roma – A cavallo fra realtà ed immaginazione. E’ oggetto di arrovellamento per psicologia e neurologia, ma nemmeno la religione è rimasta estranea. Semplice segnale elettrico finito fuoripista per i più, finestra dell’anima sulle sue precedenti incarnazioni per alcuni. Il déjà vu è uno dei fenomeni più sfuggenti della nostra mente, ma per dare un contorno ala sua impalpabilità, uno psicologo inglese si è messo a cercare particolari individui che ne sono colpiti in maniera cronica. Il proposito di Chris Moulin, dell’università inglese di Leeds, è portare queste persone in laboratorio e osservare il loro cervello nel momento in cui corteccia temporale, corteccia limbica e amigdala danno il via al balletto di segnali elettrici anomali. I perché cui Moulin vuole dare una risposta riguardano la natura del Déjà vu secondo i criteri della neurologia e quali sono i fattori scatenanti dal punto psicologico. In Italia si prepara nel frattempo ad uscire a marzo per Il Mulino “Sono già stato qui” uno studio del filosofo e psicanalista Remo Bedei.
Secondo i pochi dati scientifici disponibili, una persona su tre ha sperimentato la sensazione di dèjà vu una volta nella vita, per un tempo che varia da uno e alcune manciate di secondi. “Esistono particolari forme di epilessia – spiega Carlo Caltagirone, professore di neurologia all’università di Tor Vergata e direttore scientifico della fondazione Santa Lucia di Roma – che non si manifestano con la perdita di coscienza e convulsioni, ma con una serie ricorrenti di dèjà vu. Il paziente si ritrova all’interno di una serie di esperienze che hanno uno scarto con la realtà, come all’interno di una galleria di specchi”. Se il percorso del segnale elettrico anomalo è conosciuto con sufficiente precisione (l’amigdala dà il via, lo stimolo echeggia attraverso la corteccia limbica per finire nella corteccia temporale), è mistero sul rapporto fra il dèjà vu e lo stato psicologico di chi lo vive. “La sfida - la spiegato Moulin in una conferenza stampa – è penetrare il significato di questo fenomeno. Studiandolo, speriamo di svelare il segreto del rapporto fra memoria e coscienza”. La molteplicità delle aree del cervello che sono coinvolte, secondo Caltagirone, spiega la sensazione di realismo che si presenta durante un dèjà vu: “I sensi ci descrivono la scena che stiamo vivendo come già nota. Il coinvolgimento dell’amigdala e del sistema limbico spiega l’intensa partecipazione affettiva e il senso di familiarità”. Anche se Moulin e i suoi collaboratori hanno tentato di indurre dei dèjà vu nei loro volontari tramite l’ipnosi o presentando alcune parole come ami per pescare i ricordi, queste procedure non si sono rivelate come efficaci. “Rievocare un ricordo stimolando il cervello è fattibile” spiega Caltagirone “Ma non creare dal nulla un dèjà vu. Durante alcuni interventi di neurochirurgia, nei quali i pazienti sono tenuti svegli perché il cervello non sente dolore, ci siamo accorti che toccare alcune aree faceva riaffiorare alcuni ricordi. Le persone, nonostante si trovassero sotto i ferri, descrivevano questa sensazione come molto affascinante.
La
scienza ha constatato, ad esempio:
““Esistono
particolari forme di epilessia – spiega Carlo Caltagirone, professore di
neurologia all’università di Tor Vergata e direttore scientifico della
fondazione Santa Lucia di Roma – che non si manifestano con la perdita di
coscienza e convulsioni, ma con una serie ricorrenti di dèjà vu. Il paziente si
ritrova all’interno di una serie di esperienze che
hanno uno scarto con la realtà, come all’interno di una galleria di specchi”.”
In
pratica delle forme epilettiche si manifestano con una serie ricorrente di déjà
vu.
Quando
la neurologia ha verificato che :
“L’epilessia primaria o funzionale. In tutte le sue forme di manifestazione è attribuita ad un’ipereccitabilità dei neuroni cerebrali.”
In
sostanza ha constatato che le connessioni neuronali subiscono delle variazioni
organizzandosi in maniera diversa e comunicando alla coscienza elementi inusuali. Sia carichi di energia
emotiva che tensioni soggettive si ripercuotono sulla struttura della
percezione soggettiva che viene violentemente alterata. Da qui le esperienze
del “paziente” che è coinvolto, con tutti i sensi, in situazioni che avvengono
nella sua mente come elaborazione di esperienze
percepite e non sempre riconosciute dalla sua ragione. Elaborazione della
percezione soggettiva che si scatena, in alcuni individui, fino a giungere alla
coscienza quando la ragione perde il controllo
dell’individuo stesso.
Se in
una situazione di epilessia la scienza si trova a
dover riscontrare delle manifestazioni, non sono queste manifestazioni che
interessano alla scienza. Queste manifestazioni, all’interno di una patologia
epilettica, possono confermare delle attitudini o delle pontenzialità per i
singoli individui, ma le manifestazioni all’interno della patologia vengono annoverate fra i sintomi della malattia stessa. Il
problema, per la scienza, è che forme di Déjà vu si manifestano al di fuori
della patologia epilettica, con una certa frequenza, dimostrando che la
patologia accentua la potenzialità di un fenomeno che noi abbiamo, ma il fenomeno non è sintomo della malattia.
Quali
sono i limiti della scienza all’interno della definizione del
fenomeno Déjà vu?
“Se il percorso del segnale elettrico anomalo è conosciuto con sufficiente precisione (l’amigdala dà il via, lo stimolo echeggia attraverso la corteccia limbica per finire nella corteccia temporale), è mistero sul rapporto fra il dèjà vu e lo stato psicologico di chi lo vive.”
Sembra
che il percorso del segnale elettrico all’interno del cervello sia stato
individuato. Ciò che sfugge è “che cosa riempie quel segnale elettrico”, la struttura psichica della conoscenza di cui è portatore e la
percezione che di tale segnale ha la coscienza dell’individuo.
Il
fatto che l’amigdala sia coinvolta nel percorso del segnale
sta a dimostrare il grande carico emotivo di cui il segnale è portatore. Le
emozioni sono l’elemento base della vita e della
comunicazione fra il soggetto e il mondo che lo circonda. E solo soggettivando
il mondo che lo circonda, le sue emozioni, il soggetto può esprimere
un’emozione fra ciò che sta vivendo ora e le aspettative
di come quell’ora sarebbe stato vissuto.
Alla
scienza interessa:
“La sfida - la spiegato Moulin in una conferenza stampa – è penetrare il significato di questo fenomeno. Studiandolo, speriamo di svelare il segreto del rapporto fra memoria e coscienza”.
Penetrare il significato del fenomeno e, in particolare,
svelare il rapporto fra “memoria e coscienza”. Solo che se la
scienza prende questa strada sbatterà il naso contro un muro. Non si
tratta di una memoria diversa che si esprime nell’individuo, ma di una
percezione diversa dei fenomeni del mondo che si basa sul loro carico emotivo e
sulle relazioni emotive che intercorrono fra di loro
che portano alla formazione, nella coscienza quando il Déjà vu si esprime,
dell’individuazione della situazione che si sta vivendo come selezione di tutte
le situazioni che si avrebbero potuto vivere. Quando
il carico emotivo si dispiega nella situazione che viviamo ricordiamo che,
forse, abbiamo messo in atto delle azioni per giungere là. Non
una memoria, ma una conoscenza dovuta alla percezione di una struttura del
mondo che esula dalla descrizione della ragione e che agisce attraverso
relazioni emotive anziché relazioni fenomenologiche descritte. Non si ha
“memoria delle relazioni emozionali” queste ci sono, proseguono
mentre i soggetti si modificano, mantengono le relazioni che
costruiscono fintanto che i soggetti si modificano nelle relazioni e poi si
staccano, si dimenticano e ogni soggettto aggancia le proprie capacità emotive
ad altri mondi, altri lidi. Ciò che l’individuo conserva è la modificazione di sé stesso. Una modificazione che conserva la memoria della
relazione, ma non ricorda la relazione stessa. Salvo
mantenere una certa sensibilità nei confronti di emozioni
che a lui si presentano dal mondo. E quando si
presentano, il carico emotivo aumenta sollecitando il segnale che dall’amigdala
tende ad arrivare alla coscienza: non sempre gli riesce.
Alla
fin fine possiamo trarre una conclusione.
Che cos’è un Déjà vu?
E’
un’elaborazione delle relazioni fra noi e il mondo attraverso le relazioni
emotive che intercorrono fra noi e il mondo. Tale elaborazione, che avviene
mediante la parte più profonda e antica del cervello, non viene
sempre accolta dalla ragione. Ma in casi particolari di eccessivo
carico emotivo, o di patologie che permettono a carichi emotivi di giungere
alla coscienza, tale elaborazione si presenta e noi la riconosciamo come
attinente alla situazione che stiamo vivendo e che abbiamo elaborato attraverso
la percezione delle relazioni emotive degli oggetti con i quali stiamo vivendo
la situazione. In sostanza, il Déjà vu altro non sarebbe che la sovrapposizione
di due descrizioni del mondo, quella emotiva che si
sovrappone alla situazione descritta che si sta vivendo. Il modo migliore per
un individuo di non riconoscere la presenza di un Déjà vu è
quando utilizza le proprie emozioni come elemento normale con cui
descrivere il mondo in cui vive, interiorizzare gli oggetti del mondo
attraverso le loro emozioni, comunicare le proprie emozioni nel mondo. In
questo modo la ragione non ferma il flusso alla coscienza del carico emotivo
che la percezione delle emozioni produce nell’individuo, ma lo fa fluire come
parte integrante della sua esistenza, del suo modo di
affrontare il mondo.
Si
tratta di una delle più potenti capacità extrasensoriali in quanto il soggetto,
che pratica l’uso delle proprie emozioni nell’interazione fra sé e il mondo, è
capace di cogliere aspetti assolutamente sconosciuti per altri individui: vede
ciò che altri non vedono; è attento a ciò a cui altri
sono distratti!
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