SELEZIONE
DELLA PERCEZIONE
NELLA
PRIMA INFANZIA
Di Claudio Simeoni
Cod. ISBN 9788891185822
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Percezione
Sulla formazione della
percezione
e la selezione
dei fenomeni percepiti
Di Claudio Simeoni
Quarta Parte
Giornale
la Repubblica del
“Lo studio: i neonati prematuri sentono il dolore come gli altri.
Londra – I neonati prematuri sentono dolore. Uno studio ha infatti
dimostrato che purtroppo non sono affatto al riparo da sofferenze, come si
credeva, quando sottoposti alle tante pratiche mediche necessarie nelle terapie intensive
neonatali per aiutarli a crescere. Lo hanno verificato per la prima volta i
ricercatori della University College di Londra che hanno misurato risposte di
dolore nel cervello di questi neonati e non, come si pensava, semplici reazioni
riflesse. Lo studio è riportato su “The Journal of Neuroscience.”
La
selezione della percezione che è avvenuta in pancia della madre ora, il nuovo
nato, la deve misurare con il mondo esterno.
Ed
è a questo punto che inseriamo la definizione di “percezione psicofisica” come
definita dal dizionario di psicologia:
“Si cerca di stabilire il rapporto esistente tra uno stimolo,
definito come fenomeno fisico di intensità misurabile, e la risposta che ne
consegue, data da una sensazione di determinata intensità. In questo campo si
sono definite le soglie inferiori assolute date dall’intensità minima di un
segnale fisico che scatena una risposta del soggetto; le soglie superiori
assolute al di là delle quali non esiste più una sensazione specifica; le
soglie differenziali che stabiliscono quale modificazione in più o in meno un
segnale deve subire perché un soggetto lo percepisca come diverso; la
costruzione di scale psicofisiche per la misurazione delle soglie regolate
dalla legge di Fechner, per la quale l’intensità di una sensazione soggettiva è
proporzionale al logaritmo dell’eccitatore fisico. Questa legge, valida per il
rapporto fra eccitatore fisico e reazione fisiologica del recettore, trova un
riscontro approssimativo per quanto concerne il rapporto tra l’intensità
dell’eccitatore fisico e la sensazione psicologica e soggettiva che ne
consegue. (Weber-Fechner legge di)” Dal dizionario di Psicologia di Umberto
Galimberti, Rizzoli.
L’intensità
del fenomeno che funge da stimolo è la quantità di energia con cui il fenomeno
si presenta all’attenzione del soggetto.
Lo
stimolo esterno viene definito, in psicologia, per la sua capacità di agire e
modificare un soggetto, ma in questa definizione non si tiene conto della
capacità selettiva del soggetto nei confronti del fenomeno. Un fenomeno, anche
carico di una forte intensità energetica, può anche essere ignorato dal
soggetto. Un esempio è lo spaventapasseri in un campo. Il primo giorno spaventa
gli uccelli, il secondo giorno gli uccelli lo accettano come parte
dell’ambiente, il terzo giorno sono pronti a farvi il nido sopra.
Il
bambino, fin dal primo giorno di nascita, si trova a dover fronteggiare una
quantità fenomenologica immensa che lo travolge.
Come
si difende il bambino? Mediante il sonno. Il sonno del neonato è un modo per
chiudere la propria percezione ai fenomeni del mondo, disgregare la propria
coscienza e la propria attenzione e mettere ordine nei fenomeni che sono
arrivati e che hanno modificato la struttura psico-fisica durante la veglia.
La
veglia e il sonno del bambino corrispondono un po’ al suo mangiare. Da sveglio assorbe fenomeni, dorme e
digerisce quei fenomeni. Si sveglia, mangia fenomeni; dorme e li digerisce. In
questo processo di “digestione” il neonato, ogni notte, scompone la propria
coscienza e la ricompone prendendo tutti i fenomeni che ha interiorizzato
durante il giorno e quando ricompone la propria coscienza al mattino inizia a
dare un ordine di importanza ai fenomeni. Quelli su cui deve puntare la propria
attenzione e quelli che può ignorare; quelli che si presentano in maniera da
non poter essere ignorati e quelli che appartengono ad un tale sconosciuto che
ritiene non gli possano servire.
Il
processo di disgregazione e riformazione della coscienza permette al neonato di
passare dalla percezione funzionale all’età fetale ad una percezione funzionale
al nuovo mondo. Il mondo si allontana dalla sua percezione. Il contatto
materno, con l’allattamento al seno, rende meno doloroso questo distacco.
Quello
che fu il processo di selezione della percezione dei fenomeni che ha messo in
atto nella pancia della madre viene sviluppato e riadattato ulteriormente nei
primissimi giorni di vita.
Cosa
caratterizzava il feto nella pancia della madre? La percezione empatica
psico-emotiva del proprio ambiente. Quali sono i fenomeni che entreranno
maggiormente nella formazione della sua conoscenza? Quei fenomeni che si
presenteranno con un carico psico-emotivo che potrà essere identificato
dall’esperienza del bambino nella pancia della madre.
“Ma che cosa gli passa per la mente?
Scienza Fino a pochi anni fa, i ricercatori consideravano il
cervello di un neonato una tabula rasa, poi plasmata dall’esperienza. Le ultime
scoperte di genetica e neuroscienza ribaltano la teoria: si viene alla luce con
molte capacità programmate. E tra le più importanti c’è quella di sognare.
A nove mesi un bebé è in grado di riconoscere espressioni facciali o
verbali di felicità, tristezza o rabbia e di riprodurle, facendole proprie. Sa
modellare le emozioni su quelle altrui e reagire ai segni di rimprovero o
approvazione. A un anno, guarda l’oggetto indicato da un dito, e non il dito.
“Oggi sappiamo che i bambini sanno più di quanto pensavamo fosse
possibile. Hanno idee sugli altri esseri umani, sugli oggetti e sul mondo, nel
momento steso in cui nascono. Sono idee piuttosto complesse, non soltanto
riflessi o reazioni a determinate sensazioni. I bambini sono come piccoli
scienziati, acquisiscono nuovi dati in continuazione e scartano le teorie che
non combaciano con essi. Cambia la loro comprensione sulle cause di certi
fenomeni. Il che porta a domande difficili: come viene rappresentata questa
comprensione della struttura causale del mondo? E attraverso quali meccanismi
di apprendimento nasce la rappresentazione?”
La
ricerca psicologica e neuronale sui neonati sta tentando di chiarire la
complessità della mente dei neonati:
Dal
giornale La Repubblica del
“La scienza odierna, invece, dà adesso un quadro del tutto diverso
di quello che accade nel cervello e nell’animo dei neonati: padroneggiano
emozioni anche molto complesse, come gelosia, simpatia e frustrazione che un
tempo si riteneva imparassero verso i 2-3 anni. I neonati di quattro mesi hanno
già capacità avanzate di deduzione non ché l’abilità di decifrare dei disegni
anche complessi. Hanno una paletta visiva piena di sfumature che permette loro
di notare anche le più piccole differenze, specialmente nei volti, una dote che
gli adulti e i bambini più grandi perdono. Una delle prime emozioni che provano
i bambini anche piccolissimi è l’empatia. Anzi, forse nel cervello dei neonati
già esiste la capacità di preoccuparsi per gli altri. Se si sistema un neonato
accanto ad un altro che sta piangendo, con ogni probabilità finirà per
piangere.”
“Secondo Martin Hoffman, docente di psicologia dell’università di
New York, “sin dalla nascita vi è qualche primigenia forma di empatia.” [...]
Parte dell’empatia potrebbe essere il prodotto di un’altra precoce abilità dei
neonati: la capacità di discernere le emozioni dalle espressioni del viso delle
persone che li circondano.”
L’empatia
è un “potere di interazione soggettiva con il mondo” sviluppato nella pancia
della madre ed è il primo strumento che il bambino usa per costruire le
relazioni con il mondo. La capacità empatica seleziona la percezione dei
fenomeni che provengono dal mondo. E li seleziona in base al “carico emotivo”
di cui quei fenomeni sono portatori. I volti, i suoni delle parole, i sussulti
del corpo materno, sono tutti fenomeni che portano emozioni e queste emozioni
interagiscono con i bisogni del bambino che sono, a loro volta, espressioni di
tensioni emotive.
Dove
si incontra un incontro di emozioni il fenomeno si fissa. Quando il fenomeno
porta emozioni che incontrano le emozioni soggettive del neonato agendo sui
suoi bisogni, le sue necessità, il fenomeno si fissa. Si fissa prima per
l’incontro emotivo e poi il neonato ne identifica la forma capace di agire sui
suoi bisogni emotivi. Crescendo, poi il bambino, identifica l’aspetto razionale
e la forma di cui il fenomeno è manifestazione.
Il
fenomeno come forma entra nella percezione del neonato in un secondo tempo.
Prima il fenomeno viene percepito attraverso la “capacità empatica” del neonato
con cui interagisce con il mondo psico-emotivo che lo circonda. Inizialmente
c’è il tentativo soggettivo, da parte del bambino, di ricercare, una volta
nato, la riproduzione del mondo dell’utero materno. Nel nuovo mondo, il
neonato, cerca ciò che già conosce e fissa l’attenzione su ciò che lo rimanda a
sensazioni che ha già vissuto.
I
neonati scorgono le emozioni espresse dalle espressioni del viso delle persone.
Le espressioni vengono associate alle sensazioni che hanno provato nell’utero
in quanto le espressioni del viso sono portatrici di emozioni di chi li guarda.
A mano a mano che i neonati crescono l’espressione del viso assume un
significato a sé separato dall’emozione che comunica.
E’
in atto un processo di separazione del bambino della primitiva forma di
interazione fra sé e il mondo forgiata nell’utero e i sensi stanno prendendo il
sopravvento nel mediare le relazioni dell’apparato emotivo con il mondo.
La
percezione del neonato viene educata a selezionare i fenomeni del mondo. Questi
esistono solo se sono portatori di un carico emotivo ed interagiscono con i
bisogni del neonato che attraverso essi espone al mondo le sue emozioni.
In
questa fase il neonato seleziona “l’effetto finale” (o a cui rispondere mediante
l’azione prima e mediante la descrizione poi) del fenomeno che percepisce. Data
una percezione di fenomeni che generano nel neonato delle necessità e dei
bisogni, tale percezione viene riassunta nell’elemento più semplice che, una
volta manifestato, garantisce la soddisfazione della necessità e del bisogno.
Se
nella pancia della madre l’immenso, per il feto, era la madre stessa, ora
l’immenso è uno sconfinato che percepisce attraverso un distacco che i suoi
sensi e le sue percezioni devono comprendere.
La
fondazione della percezione del neonato è una mediazione funzionale fra ciò che
è stato, crescendo nella pancia della madre, e ciò che gli viene trasmesso, nel
modo in cui gli viene trasmesso dal mondo in cui nasce e per quello che il
mondo in cui nasce gli presenta.
Le
recenti ricerche neurologiche hanno messo in luce come i “sensi” non siano solo
cinque, ma i neurologi, seguendo le connessioni nervose e i collegamenti
neuronali, hanno scomposto i sensi in una serie di “sottosensi” che ricomponendosi
fra di loro attraverso un numero “infinito” di variabili dimostrano come le
possibili percezioni del mondo di un soggetto siano pressoché illimitate e
questo senza tener conto dell’elaborazione che il soggetto ne fa di quanto
percepisce:
Dal
settimanale L’Espresso
Uomo da 21 sensi
Di Paola Emilia Cicerone
“Cinque? I neurologi scommettono: sono molti di più. Ecco perché,
seguendo gli stimoli che vanno dagli organi al cervello.
Che non ci si fermi a cinque è sicuro: forse sono una ventina, c’è
chi dice molti di più. Perché l’antico schema di derivazione Aristotelica, che
limita appunto a cinque il numero dei sensi con cui esploriamo il mondo
esterno, vista, udito, gusto, tatto e olfatto, è tramontato per sempre. Per
molti scienziati, il numero giusto è 21. Come ci si arriva? Non si parla più di
vista, perché la percezione della luce è distinta da quella del colore. Mentre
il gusto si divide in quattro, riconoscendo autonomia ai quattro gusti
fondamentali: dolce, salato, acido e amaro. Con l’eccezione dell’umami, il
gusto di glutammato tipico della cucina orientale, che è preso in
considerazione solo da alcuni studi. Se il tatto resta un senso a sé, gli si
affianca altri sensi collegati, ma autonomi, come la percezione del dolore, del
caldo e del freddo. Portando così a 12 i tradizionali cinque sensi.
Per arrivare a 12 basta aggiungere il senso dell’equilibrio
(d’altronde, non l’abbiamo sempre chiamato così?) e la propriocezione che ci
consente di valutare, anche a occhi chiusi, attraverso una serie di recettori
posti nei muscoli e nelle articolazioni, la nostra posizione nello spazio e i
nostri movimenti, anche se in questo caso si parla più specificamente di
cinestesia. E poi i sensori interni che permettono al nostro organismo, anche
se non ne siamo sempre coscienti, di monitorare parametri biologici, come la
pressione sanguigna, l’ossigeno presente nel sangue, l’acidità del liquido
cerebro spinale e la presenza di aria nei polmoni. Ma anche valori specifici
relativi al contenuto di glucosio nel sangue e alla pressione osmotica nel
plasma, che siamo abituati a percepire più banalmente come fame e sete.
Complicato? Neanche troppo, se si pensa che i ricercatori più
radicali arrivano ad elencare una trentina di sensi, dando autonomia alla
percezione di alcuni colori come rosso, blu o verde e distinguendo fra le
diverse modalità tattili e i diversi tipi di movimento. E c’è anche chi
sostiene che ciascun tipo di recettore olfattivo (ce ne sono circa 2mila) dia
origine ad un senso a sé. Persino il sesto senso, per anni una fola da
creduloni, è stato riabilitato: secondo uno studio realizzato dalla Washington
University di St. Louis e pubblicato su “Science”, l’elaborazione inconscia di
informazioni che ci aiuta a prendere decisioni apparentemente immotivate, ma
corrette, attiverebbe una specifica area cerebrale: la corteccia cingolata
anteriore.
Oggi gli specialisti non studiano i singoli sensi, ma le loro
articolazioni. Partendo dalla natura, chimica, meccanica o luminosa, dello
stimolo, o dai recettori cerebrali interessati. La base è comune: “E’ sempre
un’area cerebrale ben precisa, il talamo, che riceve tutte le informazioni dai
recettori e le trasmette alla corteccia cerebrale primaria, e da qui alla
corteccia secondaria”, spiega Raffaella Rumiati, responsabile del dipartimento
di Neuroscienze cognitive alla Sissa (scuola internazionale di studi superiori
avanzati) di Trieste. E’ qui che il percorso di articola in aree specializzate,
in cui diverse popolazioni di neuroni si occupano di aspetti diversi.
(troncato)
E
questo per parlare di come un soggetto percepisce il mondo.
Poi,
quando andiamo ad affermare quanto un soggetto deve selezionare dal mondo e
agire in esso, scopriamo che:
Neuroscienze – Nuove ricerche indagano sul ruolo dell’inconscio
nelle decisioni di ogni giorno: dallo shopping al partner giusto, nelle nostre
scelte c’è molto di più di quanto pensiamo. Secondo i neuroscienziati siamo
consapevoli solo del 5% della nostra attività cognitiva ed è per questo che la
maggior parte delle nostre decisioni, emozioni e azioni, dipende per il 95%
dall’attività cerebrale che va al di là della nostra coscienza. (solo primi
riassunti dell’articolo)
Noi,
spesso, troppo spesso, non abbiamo il controllo razionale di quello che
facciamo. Obbediamo a stimoli profondi che si presentano alla coscienza e
guidano le nostre decisioni, mentre percepiamo e giudichiamo il mondo seguendo
stimoli di desiderio che abbiamo selezionato in anni “dimenticati”.
Tutta
questa operazione di selezione della percezione il bambino la fa nei primissimi
mesi di vita fin dal primo istante in cui esce dalla vagina di sua madre!
La
scienza neuronale e la psicologia stabiliscono collegamenti e connessioni sia
fisiche che psichiche fra le azioni che facciamo e l’accensione di aree del
cervello in cui avviene la decisione. Si stabilisce che cosa si attiva quando
percepiamo aspetti del mondo, ma la scienza non è, almeno per ora, capace di
seguire le scelte soggettive per cui un tipo di percezione viene fissata
nell’individuo anziché un altro tipo di percezione leggermente diversa. La
scienza non è in grado di vedere i processi adattavivi messi in atto
dall’individuo nel corso degli anni e che l’individuo concretizza nelle sue
“idee sul mondo”, nelle sue “scelte”, nelle sue “decisioni”, nelle sue
“predilezioni”.
Sta
di fatto che si assiste a tutta una serie di scelte soggettive da parte del
neonato il cui scopo è fissare la propria attenzione su una “gamma” di fenomeni
che entrano nella sua percezione e che poi vengono ulteriormente selezionati
per costruire la sua Coscienza.
Un
“sistema educativo” deve aver cura di rivolgere al neonato imput, informazioni,
fenomeni, capaci di stimolare in maniera a lui ottimale lo sviluppo della
propria percezione e l’uso opportuno della propria attenzione. Questa necessità
è sempre stata alla base della ricerca della moderna pedagogia il cui scopo era
teso ad assicurare alla società civile individui più coscienti, più ricchi di
stimoli, più consapevoli al fine di arricchire la società stessa.
L’errore
di tutti i sistemi pedagogici fu quello di considerare il bambino soggetto
diverso, separato, dall’adulto e dalla società. Un soggetto su cui agire per
ottenere un risultato senza considerare che il soggetto ha una capacità personale
di elaborazione. Così l’educatore pensa che facendo questa o quella cosa riesce
ad ottenere un risultato. Invece, il soggetto che riceve quell’azione o quella
cosa sotto forma di fenomeno, la inserisce in un insieme soggettivo che produce
risposte diverse dalle attese.
Il
bambino diventa l’oggetto del discutere di ogni sistema pedagogico. E questo fu
l’errore e la base del fallimento di ogni sistema pedagogico. Non che non
venissero, di volta in volta, migliorati degli aspetti nell’educazione del
bambino, ma il risultato non soddisfaceva mai le premesse dalle quali la
strategia pedagogica prendeva il via.
Il
motivo è semplice: non si può intervenire nella formazione della percezione del
bambino agendo sul bambino stesso. Questo perché l’adulto non è più in grado di
valutare la carica emotiva della sua azione nei confronti del bambino e il
bambino darà una lettura soggettiva dell’azione dell’adulto partendo da
categorie di valutazione che l’adulto ha dimenticato!
Quando
un adulto manda un segnale al bambino si illude che il bambino interpreta il
segnale con le sue stesse intenzioni e col suo stesso significato.
“Da bimbi timidi ad adulti ansiosi tutta colpa di un malinteso:
Articolo (più completo di quanto esposto) di Carlo Brambilla
Milano – Per i bambini più timidi, candidati ad essere adulti
ansiosi, c’è una strana espressione negli occhi di chi li guarda. Qualche cosa di indecifrabile nel
volto. Che fa loro sbagliare giudizio sulle reali intenzioni degli altri. Scambiare
uno stato d’animo per un altro. E rendere difficili, qualche volta impossibili,
le normali relazioni umane, fatte anche di linguaggi non verbali. E’ li che si
nasconde il segreto della timidezza: in un malinteso. Una difficoltà
psicologica che ha una parziale base genetica e neurofunzionale. Lo ha scoperto
un gruppo di ricercatori dell’Università Vita-Salute San Raffaele, coordinato
dallo psicologo clinico Marco Battaglia, dopo un lavoro durato tre anni, su un
campione di 150 scolari italiani.
[...] “Per molto tempo gli psicologi clinici hanno ipotizzato che il
mondo interiore delle persone afflitte da ansia sociale dipendesse da
aspettative negate rispetto al giudizio degli altri. Il risultato di questo
studio suggerisce invece che vi possa essere una difficoltà nell’elaborazione
della comunicazione interpersonale.”
[...] ... psicoterapie mirate che aiutino i bambini più timidi ad
interpretare correttamente le espressioni del volto di chi li circonda.
Ridiscutere i significati del linguaggio non verbali. Rielaborare le istanze
affettive. E farsi più coraggio.”
Il
problema dei segnali non verbali è molto più complesso. Non si tratta solo di
come viene lanciato il segnale non verbale, ma del carico emotivo che il
segnale porta rispetto alle emozioni che attraversano il bambino in quel
momento.
I
messaggi non verbali sono importanti per i soggetti di questa ricerca che hanno
fra i sette e i nove anni, ma sono fondamentali, rispetto ai messaggi verbali
per bambini neonati.
Le
recenti scoperte hanno messo in luce come siano importanti quelli che vengono
definiti “neuroni specchio”.
“Scoperto il segreto delle emozioni
Ecco il “neurone specchio”: così condividiamo i sentimenti
[...] il meccanismo della simulazione che scattava nel cervello
della scimmia era determinato a un gruppo di cellule nervose cui venne
assegnato il nome di “neuroni specchio”. “All’inizio – prosegue Gallese –
pensavamo che la loro attivazione dipendesse dall’osservazione di un movimento
altrui. Poi, passando agli studi sull’uomo, abbiamo capito che il meccanismo
riguardava anche le emozioni e le sensazioni tattili provate dagli altri. Ci
basta percepire un sentimento su un volto o accorgerci che la mano di un altro
viene sfiorata per simulare una situazione corrispondente all’interno del
nostro cervello. Sono i neuroni specchio che si attivano, esattamente nelle
stesse aree cerebrali di chi vive l’esperienza in prima persona”. Questo
meccanismo è comune a tutti gli individui, sia pure con un’intensità che varia
da persona a persona. Ma nei dieci bambini autistici studiati da Mirella
Dapretto con la tecnica della risonanza magnetica i neuroni specchio si sono
dimostrati pigri ben oltre i limiti della normalità. “Questo – sostiene la
psichiatra americana – potrebbe spiegare il perché del deficit sociale che
caratterizza gli autistici. I nostri risultati, insieme a quelli ottenuti in
precedenza da altri ricercatori, ci portano a descrivere la malattia come un
cattivo funzionamento dei neuroni specchio”.”
Segnale
esterno, comunicazione non verbale, assimilazione del segnale esterno,
interpretazione soggettiva del segnale, risposta di adattamento al segnale
esterno. L’adulto che lancia un segnale verbale al neonato, il neonato assimila
la parte emozionale del segnale recependo soggettivando un significato estraneo
alla verbalizzazione fatta dall’adulto. Il bambino impara la comunicazione
verbale associandola ad una comunicazione emotiva estranea alle intenzioni
della verbalizzazione. Cosa comunica l’adulto che ha perso la memoria della
comunicazione non verbale e ha perso la memoria della trasmissione delle
emozioni sia attraverso i suoni che lo sguardo, il tatto e le espressioni
mimiche? Come può il bambino essere consapevole che l’adulto è ignorante nella
comunicazione non verbale, unica comunicazione che egli conosce avendone
imparato i rudimenti nella pancia della madre?
Spesso
le pretese dell’adulto che il bambino impari la comunicazione verbale mi
sembrano come quell’Indios che rinfaccia a Cristoforo Colombo che “Io ho
imparato la tua lingua, ma tu non hai imparato la mia!”
L’apprendimento
della percezione infantile, come ho tentato di illustrare, passa per un
notevole numero di vie diverse dalla comunicazione verbale e tutte impregnate
di un carico emotivo. L’individuo adulto, quando analizza, continua a vedere
delle situazioni statiche, ma non riesce a cogliere i processi di mutamento.
Vede certamente la differenza cerebrale del neonato di pochi giorni dal bambino
di un anno, ma non coglie le “forze intime” del mutamento sia come adattamento
soggettivo, sia come segnali che giungono al bambino e le interpretazioni del
bambino per mettere in atto quegli e solo quegli adattamenti.
In
questa situazione il bambino inizierà a perdere la comunicazione emotiva in quanto
non è più direttamente funzionale
e la comunicazione verbale inizia ad invadere tutte le sue aree del pensiero.
La comunicazione emotiva continuerà. Comunque, a guidare le sue azioni e le sue
scelte; amore e passioni ricadranno più nella sfera delle emozioni che non nel
campo della razionalità.
Avremo
in questo modo un individuo che dovrà coprire la sua capacità di percezione
emotiva mediante la percezione della ragione e tradurre ogni percezione emotiva
in comunicazione verbale. Spiegarla e giustificarla.
E’
nella nascita e nei primi mesi di vita che il bambino inizia a formare il
subconscio. Quell’area in cui le emozioni e le relazioni emozionali, che
l’individuo ha avuto con il mondo, si accumulano frenando la crescita (problemi
psicosomatici) o non ostacolando la crescita (problemi psicosomatici molto
ridotti o “somatismo espansivo”).
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