LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

SULL'ESPOSIZIONE DEL CROCIFISSO

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Dopo molte polemiche ecco la sentenza della Corte Costituzionale in merito al quesito posto dal TAR del Veneto sull'esposizione del crocifisso nella scuola pubblica.

A quale quesito doveva rispondere la Corte Costituzionale?

Il quesito viene posto dal TAR del veneto: “che il giudice a quo si pone il problema della costituzionalità delle disposizioni regolamentari citate, da cui discenderebbe l'obbligo di esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche, e ritiene che queste, pur non potendo essere oggetto diretto di controllo di costituzionalità, dato il loro rango regolamentare, sarebbero invece suscettibili di controllo indiretto, in quanto specificano e integrano i disposti legislativi impugnati degli artt. 159 e 190 del d.lgs. n. 297 del 1994, il cui art. 676 a sua volta costituirebbe una norma primaria attraverso la quale l'obbligo di esposizione del Crocifisso conserva vigenza nell'ordinamento positivo;

che, in punto di non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale remittente sostiene che il Crocifisso è essenzialmente un simbolo religioso cristiano, di univoco significato confessionale; e che l'imposizione della sua affissione nelle aule scolastiche non sarebbe compatibile con il principio supremo di laicità dello Stato, desunto da questa Corte dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, e con la conseguente posizione di equidistanza e di imparzialità fra le diverse confessioni che lo Stato deve mantenere; e che la presenza del Crocifisso, che verrebbe obbligatoriamente imposta ad alunni, genitori e insegnanti, delineerebbe una disciplina di favore per la religione cristiana rispetto alle altre confessioni, attribuendo ad essa una ingiustificata posizione di privilegi”



Il TAR del Veneto sa perfettamente che non esiste una legge che impone l'obbligo di esporre il crocifisso, ma chi si oppone all'eliminazione del crocifisso afferma l'esistenza di leggi che gli imporrebbero tale obbligo. Un esempio fra tutti riportato dal giornale Il Gazzettino del 28 ottobre 2004 in cronaca da Pordenone: “La mancanza del crocifisso in alcune scuole di Azzano Decimo manda su tutte le furie il sindaco Enzo Bortolotti. La scoperta è stata casuale dopo un sopralluogo alle strutture scolastiche fatto dal primo cittadino per verificare eventuali problemi strutturali degli immobili. “Il crocifisso è simbolo eloquente della nostra fede cristiana” spiega il sindaco Bortolotti -, la sua presenza nelle aule scolastiche è prevista da un regio decreto del 1924, ripreso successivamente da diverse disposizioni amministrative. Fintanto che ci sono io alla guida della cittadina, il crocifisso dovrà essere esposto in tutte le aule scolastiche”. Il sindaco leghista, conosciuto per la sua crociata contro il velo islamico, fa sapere che sarà in prima fila a difendere la Croce.”.

La domanda del TAR è questa: c'è una legge che impone l'obbligo (e in questo caso serve un pronunciamento di incostituzionalità su tale legge da parte della Corte Costituzionale), oppure c'è solo la volontà di eversione dello stato democratico messa in atto da alcune persone attuata mediante l'esposizione del crocifisso che costruisce atto di terrorismo e devastazione emozionale nei ragazzi stessi?

Il TAR del Veneto non mette in discussione il principio di laicità dello stato ed è consapevole che l'esposizione del crocifisso viola il principio di laicità dello Stato. Devo decidere io- dice il TAR - o deve intervenire la Corte Costituzionale?

Il quesito non è irrilevante, troppe polemiche hanno imperversato in questo paese. Ricordate Adel Smith? Anche lui con ben due quesiti è giunto alla Corte Costituzionale e questa si pronuncerà nei prossimi mesi. Però la questione è importante. Ad esempio: perché la stampa nazionale ha dato tanto risalto all'attività di Abdel mettendo in evidenza le sue attività religiose tendendo ad ignorare le istanze di anticlericali, atei e altri gruppi religiosi che chiedono il diritto alla libertà religiosa?

Sono 20 anni che l'Italia si è incamminata lungo un cammino di riaffermazione del diritto morale dello stato rappresentato da posizioni laiche e di equidistanza da ogni forma religiosa. Finché negli anni '80 la Democrazia Cristiana rappresentava nel paese gli interessi della chiesa cattolica questa si occultava dietro quei politici, ma oggi che quei politici sono scomparsi o rappresentano priorità diverse dal puro asservimento all'ideologia cattolica la chiesa cattolica è costretta a rappresentare in prima persona i propri interessi all'interno della società italiana.

Queste condizioni hanno portato la Chiesa Cattolica a dichiarare guerra alla società  italiana al fine di disarticolarne le istituzioni democratiche. I principi sulla libertà religiosa all'interno della Costituzione della Repubblica Italiana vennero elaborati al fine di salvaguardare la libertà operativa della chiesa cattolica nel caso che il partito comunista avesse vinto le elezioni politiche nel 1948. Queste regole oggi sono la base del principio di laicità dello stato Italiano che alcune persone, anziché riaffermarle in sintonia con la Costituzione Europea, tendono a negarne la validità salvo riaffermarne i principi di libertà quando sono in gioco gli interessi della chiesa cattolica. Queste persone fingono di ignorare che tutti i soggetti sono uguali davanti alla legge. Ora che la chiesa cattolica ritiene superato il pericolo del Partito Comunista (Togliatti l'aveva rassicurata che i suoi privilegi non sarebbero stati toccati) la chiesa cattolica individua i suoi nemici fra i nuovi movimenti religiosi e in modo particolare nelle religioni che, per un verso o per l'altro, mettono in discussione i fondamenti etico, morali e dogmatici della chiesa cattolica. La chiesa cattolica ha messo a punto una strategia operativa finalizzata a rafforzare un privilegio che fino ad oggi la società civile ha sottovalutato: la questione educativa. La struttura morale cattolica impregnava talmente a fondo la società civile che questa la considerava quasi una morale naturale. Oggi la struttura della società si sta rendendo conto che la struttura educazionale è quella capace di determinare il futuro della società ed è impegnata a sottrarre i bambini al dominio della chiesa cattolica.

Nel frattempo migliaia di processi a preti cattolici per pratiche di pedofilia e pederastia hanno dimostrato alla società civile come la struttura educazionale cristiana e cattolica in particolare sia distruttiva.


La chiesa cattolica deve difendere la sua presenza sul territorio e dal momento che non è in grado di manifestare il proprio potere attraverso il suo pensiero religioso gli rimane solo la violenza coercitiva. La chiesa cattolica, improvvisamente, scopre che il suo pensiero religioso è avverso alle costituzioni delle società civili. Cosa le rimane? Il potere di condizionare la struttura emozionale dei bambini per costringerli alla credenza e alla sottomissione al dio che essa manifesta e del quale afferma di detenerne il potere.

La chiesa cattolica ha necessità di riempire di simboli religiosi del suo potere la società civile.

Mettere in discussione quei simboli equivale a mettere in discussione il suo dominio, il suo diritto a costringere dei bambini in ginocchio in contrapposizione al dettato Costituzionale: stuprare la struttura emozionale dei bambini i cristiani la chiamano "la loro libertà religiosa" (vedi quanto succede in Spagna in questi giorni ad opera dei Vescovi spagnoli e della loro attività eversiva nei confronti della società civile spagnola).

 

L'esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici diventa, pertanto, la manifestazione del potere della chiesa cattolica: la sua libertà di religione! In nessun altro modo la chiesa cattolica è in grado di manifestare la propria libertà religiosa se non mediante l'imposizione violenta di cui l'esposizione del crocifisso è la rappresentazione.

 

Questo è il contendere sociale!

Senza l'esposizione violenta del crocifisso la chiesa cattolica si trova smarrita davanti alla crescente religiosità del mondo occidentale e all'accusa di orrori che il mondo laico gli rivolge.

 

Il dettato Costituzionale garantisce alla chiesa cattolica l'impunità per i delitti che commette nell'esercizio del proprio culto (art. 7 della Costituzione), ma la Costituzione impedisce ai cattolici di manifestare quei delitti al di fuori dell'esecuzione del culto. Impedisce loro di manifestarli nella società civile.

E' sconcertante la dichiarazione di un deputato della repubblica (che ha giurato fedeltà alla Costituzione e allo Stato Democratico): Antonio Martuscello che afferma: "Il crocifisso di Ofena che resta appeso alla parete della scuola da cui lo si voleva staccare è un simbolo non soltanto della nostra identità culturale e del nostro patrimonio di valori, ma anche della resistenza del paese reale ha opposto a chi concepisce l'immigrazione come un'aggressione alla convivenza civile ed alle fondamenta della nostra comunità. L'iniziativa provocatoria di un fanatico dell'Islam ha rilevato l'attaccamento del paese reale ai propri simboli identitari e la volontà di convivere pacificamente con gli immigrati, ma in una prospettiva di rispetto reciproco delle proprie tradizioni. Forza Italia è in sintonia con i tantissimi italiani che hanno reagito a una sconcertante sentenza, esponendo la croce in più luoghi, promuovendo iniziative di solidarietà, petizioni, a testimonianza del fatto che ci sono principi sui quali si fonda il nostro paese che non possono essere oggetto di scambi e rinunce." (Il Gazzettino 23 novembre 2003)


A quali principi si riferisce questo deputato?

Perché non li ha enunciati?

I principi a cui un deputato si riferisce DEVONO essere i principi enunciati dalla Costituzione. Come si possono enunciare come dei valori la costruzione dei campi di sterminio? Le minacce di crocifiggere le persone che non accettano di mettersi in ginocchio davanti al crocifisso? E' forse un valore il genocidio degli Esseri Umani? E' un valore lo stupro dei bambini? E' un valore trasformare gli Esseri Umani in oggetti di possesso anziché dei soggetti di diritto Costituzionale?

Non sono domande provocatrici: è quanto il crocifisso rappresenta.

Non esisteva diritto civile se la rivoluzione francese non avesse manifestato un Napoleone che ha combattuto i cattolici: forse che questo deputato ritiene che l'abolizione del codice di diritto civile sia un valore? E i principi di uguaglianza, fraternità e libertà non sono forse principi avversi al crocifisso? E l'istruzione pubblica obbligatoria, il voto alle donne, il suffragio universale non furono forse valori avversati in modo violento da chi espone il crocifisso?

A quali valori si riferisce questo deputato? Forse al bambino nudo presente quando Gesù fu arrestato e che costituisce giustificazione per i preti cattolici a violentare bambini [imitazione di cristo! Vedi Vangelo di Marco].

E' al limite dell'eversione dell'ordine costituito l'articolo de Il Gazzettino del giorno 22 gennaio 20004 quando dice: "L'interrogatorio di Adel Smith da parte dei carabinieri della sezione di polizia giudiziaria di L'Aquila avrebbe dovuto costituire l'occasione di garanzia per replicare alle accuse della procura di Verona, in vista del processo. Ma si trasforma, invece, nel più formidabile dei puntelli forniti al Pubblico Ministero. Perché non solo Smith non fa un passo indietro, ma insiste nelle proprie tesi e mette nero su bianco una ricostruzione della storia della chiesa che ricorre perfino a Roberto Calvi e allo scandalo dello IOR per dimostrare che gli indagati dovrebbero essere i vertici ecclesiastici del Vaticano." Si tratta di violazione (attraverso affermazioni denigratorie "delirio storico-religioso") dell'articolo 21 comma 1 della Costituzione della Repubblica. Il giornale Il Gazzettino non è in grado di affermare che quanto affermato da Smith è falso e demolire le sue affermazioni accusatorie nei confronti della chiesa cattolica e allora lo insulta affermando che quanto afferma, a supporto delle sue affermazioni, è un "delirio storico-religioso". Potrebbe essere che le affermazioni di Smith a supporto di quanto afferma non siano sufficienti a giustificare le sue opinioni secondo cui la chiesa cattolica è un'associazione a delinquere, però gli episodi che egli elenca a giustificazione delle sue opinioni non sono dei falsi e pertanto non sono dei deliri.

Può non piacere Smith, ma non è demonizzandolo che si costruisce la giustizia sociale. E' necessario riportare il dibattito religioso entro i limiti della società civile. I limiti della critica come imposti ed indicati dalla Corte di Cassazione e DEVONO una volta per tutte i cristiani cessare di pretendere l'impunità per i reati commessi da un lato e la pretesa che chi li critica si metta in ginocchio davanti al loro dio, che rimane un assassino (come descritto nella loro bibbia), dall'altro.


E' all'interno di tutto questo che si svolge lo scontro sociale relativo all'esposizione o meno del crocifisso nelle scuole pubbliche. Al centro del contendere non c'è solo un pezzo di legno, ma c'è la riaffermazione dei principi Costituzionali in opposizione ai principi di distruzione dell'uomo di cui il cristianesimo è portatore. Ignorare la storia del divenire umano significa offendere alla Costituzione della Repubblica. Una Costituzione i cui principi il Governo ha voluto ribadire firmando la Costituzione Europea e impegnandosi a farla approvare dal proprio parlamento.


Ed è questo il principio che il TAR del Veneto ha sottoposto alla Corte Costituzionale.


Che cosa ha deliberato la Corte Costituzionale respingendo il quesito posto?


"che, per quanto riguarda l'art. 676 del d.lgs. n. 297 del 1994, non può ricondursi ad esso l'affermata perdurante vigenza delle norme regolamentari richiamate, poiché la eventuale salvezza, ivi prevista, di norme non incluse nel testo unico, e non incompatibili con esso, può concernere solo disposizioni legislative, e non disposizioni regolamentari, essendo solo le prime riunite e coordinate nel testo unico medesimo, in conformità alla delega di cui all'art. 1 della legge 10 aprile 1991, n. 121, come sostituito dall'art. 1 della legge 26 aprile 1993, n. 126;

che l'impugnazione delle indicate disposizioni del testo unico si appalesa dunque il frutto di un improprio trasferimento su disposizioni di rango legislativo di una questione di legittimità concernente le norme regolamentari richiamate: norme prive di forza di legge, sulle quali non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale, né, conseguentemente, un intervento interpretativo di questa Corte;

che, pertanto, la questione proposta è, sotto ogni profilo, manifestamente inammissibile."

In pratica la Corte Costituzionale afferma che Lei non può deliberare in quanto non esiste nessuna legge dello stato che impone di esporre il crocifisso. Peggio: non esiste nessuna legge che CONSENTE di esporre il crocifisso! Solo la volontà di offendere la società civile che si traduce in un regolamento arbitrario finalizzato a costringe le persone a credere che l'esposizione del crocifisso sia un diritto-dovere delle istituzioni. Invece è un reato. Un atto che costituisce minaccia per le perone.

Un atto che afferma: O FAI QUELLO CHE VOGLIO IO O IO TI AMMAZZO (anche se non diventa più propriamente l'ammazzare equivale a sottomettere le persone a vessazioni soggettive e ciò equivale ad ammazzarle sottraendole dal dettato costituzionale)!

Siamo arrivati al punto in cui i cattolici affermano che chi indica i crimini da loro commessi per ordine del loro dio e del loro profeta stanno delirando. Vorrei suggerire loro di leggersi "Storia criminale del cristianesimo" e di provare, se ci riescono a contestarne le affermazioni, ma fintanto che non ci riescono le loro affermazioni, al di là di come vengono recepite dai magistrati, sono di ordine eversivo rispetto allo stato democratico.

Un regolamento dunque.

Un semplice regolamento fatto da chi, in disprezzo del dettato costituzionale intende danneggiare, offendere, insultare chi non si mette in ginocchio davanti ad un assassino di cui egli si ritiene servo devoto!

Il quesito posto dal TAR del Veneto ha avuto risposta positiva: il crocifisso DEVE essere tolto perché rappresenta un'offesa allo stato democratico e al suo principio di equidistanza da tutte le religioni.

Ora il pronunciamento della Corte Costituzionale torna al TAR del Veneto che vede confermate le sue tesi di illegittimità dell'esposizione del crocifisso in un luogo scolastico.

L'intera sentenza della Corte Costituzionale viene riportata più sotto.


Marghera, 26 dicembre 2004


Testo analitico a cura di:


Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell'Anticristo

P.le Parmesan, 8

30175 Marghera - Venezia

tel. 041933185

e-mail: claudiosimeoni@libero.it


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ORDINANZA N.389

ANNO 2004



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE



composta dai signori:

- Valerio ONIDA Presidente

- Carlo MEZZANOTTE Giudice

- Fernanda CONTRI                                                                                "

- Guido NEPPI MODONA                                                                      "

- Piero Alberto CAPOTOSTI                                                                   "

- Annibale                  MARINI                                                                 "

- FrancoBILE                                                                                           "

- Giovanni Maria FLICK                                                                           "

- Francesco AMIRANTE                                                                         "

- Ugo DE SIERVO                                                                                   "

- Romano VACCARELLA                                                                       "

- Paolo MADDALENA                                                                            "

- Alfio FINOCCHIARO                                                                            "

- Alfonso QUARANTA                                                                             "

- Franco GALLO                                                                                       "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 159 e 190 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), come specificati, rispettivamente, dall'art. 119 (e allegata tabella C) del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare), e dall'art. 118 del regio decreto 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media), e dell'art. 676 del predetto decreto legislativo n. 297 del 1994, promosso con ordinanza del 14 gennaio 2004 dal TAR per il Veneto sul ricorso proposto da Soile Lautsi in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale contro il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, iscritta al n. 433 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, edizione straordinaria, del 3 giugno 2004.

Visti l'atto di costituzione di Soile Lautsi nonché gli atti di intervento di Paolo Bonato ed altro e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 26 ottobre 2004 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l'avvocato Massimo Luciani per Soile Lautsi, l'avvocato Franco Gaetano Scoca per Paolo Bonato ed altro e l'avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 14 gennaio 2004, pervenuta a questa Corte il 20 aprile 2004, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, nel corso di un giudizio per l'impugnazione di una deliberazione del consiglio di istituto di una scuola, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento al principio di laicità dello Stato, e, "comunque", agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, degli artt. 159 e 190 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), "come specificati", rispettivamente, dall'art. 119 (e tabella C allegata) del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare), e dall'art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media), "nella parte in cui includono il Crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche", nonché dell'art. 676 del medesimo d.lgs. n. 297 del 1994 "nella parte in cui conferma la vigenza delle disposizioni" di cui ai predetti art. 119 (e tabella C allegata) del r.d. n. 1297 del 1928 e art. 118 del r.d. n. 965 del 1924;

che l'impugnato art. 159 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce fra l'altro, al comma 1, che "spetta ai Comuni provvedere (&) alle spese necessarie per l'acquisto, la manutenzione, il rinnovamento (&) degli arredi scolastici" nelle scuole elementari, mentre l'art. 119 del r.d. n. 1297 del 1928 stabilisce che "gli arredi, il materiale didattico delle varie classi e la dotazione della scuola sono indicati nella tabella C allegata", la quale, nell'elencare gli arredi e il materiale occorrente nelle varie classi, include al n. 1, per ogni classe, il Crocifisso;

che, a sua volta, l'impugnato art. 190 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce fra l'altro, al comma 1, che "i Comuni sono tenuti a fornire (...) l'arredamento" dei locali delle scuole medie, mentre l'art. 118 del r.d. n. 965 del 1924 recita che "ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l'immagine del Crocifisso e il ritratto del Re";

che l'impugnato art. 676 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce che le disposizioni non inserite nel testo unico "restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate";

che il Tribunale remittente premette che le disposizioni citate del r.d. n. 1297 del 1928 e del r.d. n. 965 del 1924 costituirebbero adeguato fondamento giuridico del provvedimento impugnato nel giudizio a quo; sarebbero tuttora in vigore in quanto non abrogate per incompatibilità dalle disposizioni dei Patti Lateranensi cui si è data esecuzione con la legge 27 maggio 1929, n. 810, né da quelle dell'Accordo di modifica di detti Patti reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121; non sarebbero incompatibili infine con il testo unico approvato con il d.lgs. n. 297 del 1994, né sarebbero state abrogate per nuova disciplina dell'intera materia in quanto l'impugnato art. 676 del testo unico medesimo dispone che restino salve le norme preesistenti non inserite in esso e non incompatibili con le disposizioni del medesimo testo unico; che dette disposizioni sarebbero destinate ad introdurre norme attuative di dettaglio rispetto ad atti legislativi, e cioè, rispettivamente, il r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, al cui art. 55 corrisponde oggi l'art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 297 del 1994, e il r.d. 6 maggio 1923, n. 1054, al cui art. 103 corrisponde oggi l'art. 190 del d.lgs. n. 297 del 1994;

che si è costituita la parte privata ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l'accoglimento della questione;

che, secondo la parte, l'obbligatoria esposizione del Crocifisso nelle aule violerebbe il dovere di equidistanza dello Stato rispetto alle varie confessioni e contraddirebbe l'esigenza di uno "spazio pubblico neutrale" in cui non potrebbe trovare posto un simbolo religioso; non si potrebbe attribuire al Crocifisso il carattere di un simbolo genericamente civile e culturale, essendo innegabile la sua valenza religiosa, e mancando del resto ogni base costituzionale per poter fare del Crocifisso un simbolo dell'unità della nazione al pari della bandiera; non sarebbe praticabile, infine, nemmeno una soluzione che postuli la permanenza dell'esposizione del Crocifisso salvo che qualcuno degli alunni ritenga di esserne leso nella propria libertà religiosa, poiché sarebbe violato comunque il principio oggettivo di laicità, né si potrebbe costringere il singolo a opporsi apertamente alla eventuale volontà maggioritaria del gruppo sociale di appartenenza;

che sono intervenuti altresì, con unico atto, il sig. Paolo Bonato, in proprio e quale genitore di un'alunna della stessa scuola, e il sig. Linicio Bano, in qualità di presidente dell'associazione italiana genitori di Padova, concludendo per la inammissibilità e comunque per la infondatezza della questione;

che gli intervenienti, affermata la propria legittimazione ad essere presenti nel giudizio in quanto controinteressati nel giudizio a quo, pur se non evocati in esso, nonché in quanto titolari di un interesse direttamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio medesimo, negano che l'esposizione del Crocifisso nelle aule leda il principio di laicità, il quale non implicherebbe indifferenza dello Stato rispetto alle religioni, e non impedirebbe l'esposizione di un simbolo che rappresenta una parte integrante dell'identità culturale e storica del popolo italiano;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'inammissibilità e comunque per l'infondatezza della questione;

che l'Avvocatura erariale eccepisce anzitutto il difetto di rilevanza della questione, in quanto, alternativamente, il giudizio davanti al TAR non sarebbe stato proponibile per difetto di contraddittorio e di legittimazione del ricorrente, ovvero il TAR sarebbe carente di giurisdizione;

che, nel merito, la difesa del Presidente del Consiglio sostiene che le norme legislative impugnate e le norme regolamentari richiamate dal remittente non stabiliscono alcun obbligo di esposizione del Crocifisso, e che, in assenza di un obbligo legale di esposizione, il problema sarebbe quello di verificare se le norme costituzionali consentano l'esposizione di quel simbolo del cattolicesimo: esposizione che non sarebbe in contrasto con la laicità dello Stato e sarebbe coerente sia con l'art. 7 della Costituzione, sia con il riconoscimento, contenuto nell'art. 9 dell'accordo di revisione del concordato reso esecutivo con la legge n. 121 del 1985, secondo cui i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano;

che nella memoria presentata in vista dell'udienza l'Avvocatura erariale argomenta nel senso della legittimità costituzionale della presenza del Crocifisso nelle aule, quale "evenienza naturale" nell'ordinario svolgimento della vita scolastica: il Crocifisso sarebbe bensì anche un simbolo religioso, ma sarebbe "il vessillo della Chiesa cattolica, unico alleato di diritto internazionale" dello Stato nominato dalla Costituzione all'art. 7, e dunque sarebbe da considerarsi alla stregua di un simbolo dello Stato di cui non si potrebbe vietare l'esposizione, al pari della bandiera e del ritratto del Capo dello Stato.

Considerato che l'intervento spiegato nel giudizio è stato ammesso dalla Corte con ordinanza pronunciata in udienza, in quanto la posizione sostanziale fatta valere dal sig. Paolo Bonato, in proprio e in qualità di genitore di un'alunna, è qualificata in rapporto alla questione oggetto del giudizio di costituzionalità, dovendosi in questa sede precisare che la legittimazione ad intervenire non si estende all'altro firmatario dell'unico atto di intervento, sig. Linicio Bano, in quanto presidente dell'associazione italiana genitori di Padova;

che il remittente impugna gli articoli 159 e 190 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, sul presupposto che essi, "come specificati", rispettivamente, dall'art. 119 (e allegata tabella C) del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297, e dall'art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, forniscano fondamento legislativo ad un obbligo - contestato dal ricorrente per contrasto con il principio di laicità dello Stato - di esposizione del Crocifisso in ogni aula scolastica delle scuole elementari e medie; e impugna altresì l'art. 676 del medesimo d.lgs. n. 297 del 1994 sul presupposto che a tale disposizione - che sancisce l'abrogazione delle sole disposizioni non incluse nel testo unico che risultino incompatibili con esso - debba farsi risalire la permanente vigenza delle due norme regolamentari citate, dopo l'emanazione dello stesso testo unico;

che tali presupposti sono però erronei;

che, infatti, gli articoli 159 e 190 del testo unico si limitano a disporre l'obbligo a carico dei Comuni di fornire gli arredi scolastici, rispettivamente per le scuole elementari e per quelle medie, attenendo dunque il loro oggetto e il loro contenuto solo all'onere della spesa per gli arredi;

che, pertanto, non sussiste fra le due menzionate disposizioni legislative, da un lato, e le disposizioni regolamentari richiamate dal remittente, dall'altro lato, quel rapporto di integrazione e specificazione, ai fini dell'oggetto del quesito di costituzionalità proposto, che avrebbe consentito, a suo giudizio, l'impugnazione delle disposizioni legislative "come specificate" dalle norme regolamentari;

che, a differenza di quanto rilevato da questa Corte nelle sentenze 1104 del 1988 e n. 456 del 1994 (richiamate dal remittente) a proposito dell'ammissibilità di censure mosse nei confronti di disposizioni legislative come specificate da norme regolamentari previgenti, fatte salve dalla legge fino all'emanazione di nuovi regolamenti, nella specie il precetto che il remittente ricava dalle norme regolamentari non si desume nemmeno in via di principio dalle disposizioni impugnate degli artt. 159 e 190 del testo unico;

che, infatti, per quanto riguarda la tabella C allegata al r.d. n. 1297 del 1928, e richiamata nell'art. 119 dello stesso, essa contiene soltanto elenchi di arredi previsti per le varie classi, elenchi peraltro in parte non attuali e superati, come ha riconosciuto la stessa amministrazione;

che l'assenza del preteso rapporto di specificazione è ancor più evidente per quanto riguarda l'art. 118 del r.d. n. 965 del 1924, che si riferisce bensì alla presenza nelle aule del Crocifisso e del ritratto del Re, ma non si occupa dell'arredamento delle aule, e dunque non può trovare fondamento legislativo nella - né costituire specificazione della - disposizione censurata dell'art. 190 del testo unico, volta anch'essa, come si è detto, a disciplinare solo l'onere finanziario per la fornitura di tale arredamento;

che, per quanto riguarda l'art. 676 del d.lgs. n. 297 del 1994, non può ricondursi ad esso l'affermata perdurante vigenza delle norme regolamentari richiamate, poiché la eventuale salvezza, ivi prevista, di norme non incluse nel testo unico, e non incompatibili con esso, può concernere solo disposizioni legislative, e non disposizioni regolamentari, essendo solo le prime riunite e coordinate nel testo unico medesimo, in conformità alla delega di cui all'art. 1 della legge 10 aprile 1991, n. 121, come sostituito dall'art. 1 della legge 26 aprile 1993, n. 126;

che l'impugnazione delle indicate disposizioni del testo unico si appalesa dunque il frutto di un improprio trasferimento su disposizioni di rango legislativo di una questione di legittimità concernente le norme regolamentari richiamate: norme prive di forza di legge, sulle quali non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale, né, conseguentemente, un intervento interpretativo di questa Corte;

che, pertanto, la questione proposta è, sotto ogni profilo, manifestamente inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 159 e 190 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), come specificati, rispettivamente, dall'art. 119 (e allegata tabella C) del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare), e dall'art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media), e dell'art. 676 del predetto d.lgs. n. 297 del 1994, sollevata, in riferimento al principio di laicità dello Stato e, comunque, agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente e Redattore



Allegato

ordinanza letta all'udienza del 26 ottobre 2004

ORDINANZA

Visto l'intervento spiegato in giudizio, in termini, dal Sig. Paolo Bonato e dal Sig. Linicio Bano;

considerato che la posizione sostanziale fatta valere nel presente giudizio dal Sig. Paolo Bonato in proprio e quale genitore dalla minore Laura Bonato appare qualificata in rapporto alla questione oggetto del giudizio di costituzionalità.

per questi motivi

ammette l'intervento di cui in premessa.

F.to: Valerio ONIDA, Presidente

N. B. Testo prelevato dal sito della Corte Costituzionale.

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Claudio Simeoni
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